Avv.ti Francesco Isolabella e Nicola Pietrantoni (Le Fonti Legal, giugno 2018)
Il modello, imposto dalla normativa, si colloca all’interno di un percorso terapeutico che lo qualifi ca come strumento di compliance e gestione del rischio. Ecco perché:
La legge 219/2017 (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”) ha avuto, nel nostro ordinamento, un impatto certamente innovativo, soprattutto laddove ha previsto che “ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere,
in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte” può “esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifi uto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari” (art. 4, comma 1). L’introduzione delle “DAT” (“disposizioni anticipate di trattamento”) evidenzia la particolare sensibilità del legislatore sul tema dell’autodeterminazione dell’individuo che, attraverso la disciplina del consenso informato, trova il suo paradigma nella dinamica interlocutoria tra “…l’autonomia decisionale del paziente e la competenza, l’autonomia professionale e la responsabilità del medico” (art. 1, comma 2). La legge 219, però, non si limita all’enunciazione di principi, ma individua nell’assetto organizzativo dell’ente ospedaliero, ove quotidianamente si instaura e si sviluppa la relazione medico-paziente, lo strumento più idoneo alla sua fi siologica e sostanziale espressione. La norma stabilisce, infatti, che “ogni struttura sanitaria pubblica o privata garantisce con proprie modalità organizzative la piena e corretta attuazione dei principi di cui alla presente legge, assicurando l’informazione necessaria ai pazienti e l’adeguata formazione del personale” (art. 1, comma 9). Siffatta impostazione, dunque, suggerisce agli enti ospedalieri di defi nire (o ridisegnare) il proprio modello di consenso informato in un’ottica più estesa, dinamica e, soprattutto, organizzata in termini di compliance. La nostra esperienza professionale, unita all’analisi delle tipicità che caratterizzano il “mondo” sanitario, ci ha convinti che il consenso informato in ambito ospedaliero, si colloca all’interno di un percorso, quello terapeutico/ ospedaliero, connotato da tempi, informazioni, accertamenti che si susseguono in modo “progressivo”. Esso viene attivato dalle persone che presiedono alle singole fasi di tale percorso: dal medico curante nella fase diagnostica, dai vari sanitari che prendono in carico il paziente in regime di ricovero, dal chirurgo che eseguirà l’intervento operatorio, e così via. Alcune strutture ospedaliere stanno già sperimentando un “nuovo” modello di consenso informato, strutturato proprio “per fasi”. Per fare un esempio concreto, dopo che il paziente ha già sottoscritto il documento del consenso informato e prima dell’intervento, è stata prevista una sorta di check-list fi nalizzata sia a verifi care la corretta applicazione dei protocolli informativi e clinici attuati nel corso delle precedenti fasi, sia a sondare eventuali dubbi o ripensamenti che il paziente dovesse esprimere. In tal caso, il personale dovrà necessariamente informare il responsabile dell’equipe operatoria il quale, ove non vi sia piena comprensione o consapevole ripensamento da parte del paziente, dovrà colmare il “vuoto” informativo o clinico e, del caso, sospendere l’intervento. È chiaro, pertanto, come la procedura evocata, che origina dalla natura e dalle funzioni proprie dell’istituto del consenso informato e che trova anche formale consacrazione nella Legge 219/2017, altro non sia che un vero e proprio modello di risk management, utile ad affrontare le problematiche (sanitarie e giudiziarie) che stanno oggi severamente affl iggendo le nostre strutture ospedaliere, gravate dagli ingentissimi costi che da queste derivano. Un’applicazione del consenso informato inteso come fi lo conduttore di un percorso terapeutico valorizzerebbe sia la ratio dell’istituto, sia la sua nuova funzione di strumento di gestione del rischio.