Avv. Nicola Pietrantoni e Giulia Mari (The Good Lobby Italia, 21 maggio 2020)
La situazione di grave crisi che sta vivendo l’Italia determinata dall’epidemia da covid-19 impone una riflessione, già emersa e ampiamente sviluppata in altre e autorevoli sedi, anche sui possibili impatti che l’attuale gestione dell’emergenza sta generando sui vari e diversi business della criminalità organizzata.La storia dell’azione politico-economica delle mafie ci insegna che in tempi di crisi e di “sospensione dell’ordine sociale” le imprese criminali sono tra le più capaci a sfruttare le maglie, già larghe o necessariamente allargate, offerte dal contesto emergenziale, individuando nuove occasioni di profitto, anche nell’economia legale. Queste sono generate da una serie di fattori: la crisi di interi settori dell’economia, l’assenza di liquidità di cui soffrono le imprese e le persone fisiche, l’avvio di procedure più “snelle” nella contrattazione con le pubbliche amministrazioni e nel reperimento di aiuti statali.
Ad aggravare questo quadro già complesso, le organizzazioni criminali, sfruttando le debolezze tipiche delle situazioni di crisi, potrebbero assumere il ruolo, parallelo e alternativo allo Stato, di veri e propri punti di riferimento per le più svariate esigenze (soprattutto, di natura economica e finanziaria) e, addirittura, di gestori della “ricostruzione” post emergenziale. Per capire l’importanza del tema e degli interessi in gioco, si ricordano le dichiarazioni, apparse sui media nazionali nell’ultimo periodo, con cui autorevoli esponenti delle Procure della Repubblica e della stessa Procura Nazionale Antimafia hanno voluto sensibilizzare la politica e l’opinione pubblica in merito alle oggettive criticità correlate alle recenti decretazioni emergenziali, soprattutto sul versante dei controlli, e al concreto rischio di infiltrazioni criminali. Vedremo, dunque, in sintesi, alcuni dei principali nuovi canali creati dall’emergenza covid-19, attraverso i quali le mafie potrebbero assicurarsi ulteriori profitti, considerata la naturale propensione di tutte le associazioni criminali a sviluppare, in ogni contesto e in tempi rapidi, nuove forme di attività illecite. In particolare, ci soffermeremo sul sistema dei controlli antimafia in relazione all’accesso al credito previsto dal Decreto Liquidità (d.l. 8.4.2020, n. 23), nonché sul ventaglio di semplificazioni e deroghe introdotte con il Decreto Cura Italia (d.l. 17.3.2020, n. 18, convertito in legge il 24.4.2020) da cui originano nuove dinamiche e nuovi rapporti con la pubblica amministrazione.
Il primo canale: l’accesso al credito (Decreto Liquidità)
La straordinaria urgenza di contenere gli effetti negativi che questa situazione di emergenza sta determinando sul tessuto socio economico del paese, ha imposto al Governo di intervenire, con la massima celerità, prevedendo misure che assicurino una pronta liquidità alle imprese colpite dall’epidemia covid-19. Tuttavia, le modalità di accesso al credito garantito, introdotte con il Decreto Liquidità (agli artt. 1 e 13), se da un lato potrebbero offrire immediati benefici economici ad una vasta platea di soggetti, dall’altro non sono impermeabili a effetti collaterali che rischiano, nella peggiore delle ipotesi, di favorire la criminalità organizzata a discapito delle imprese sane colpite dalla pandemia. I fattori che determinano un rischio concreto di sostituzione della criminalità organizzata allo Stato e, più in generale, di infiltrazione mafiosasono essenzialmente due. In primo luogo, l’inefficienza e i ritardi nell’erogazione del credito, in un momento in cui è fondamentale che lo Stato fornisca risposte immediate, incentivano le imprese sofferenti ad affidarsi a canali alternativi di finanziamento, spesso gestiti da chi, come la criminalità organizzata, può contare su un ingente quantitativo di denaro contante. A tale proposito, i media hanno già riportato casi in cui l’accesso al credito, pur in presenza di tutti i requisiti richiesti, è stato per molte imprese difficilissimo, se non impossibile.
Non possiamo permetterci, in questo momento storico, di assistere al paradosso per cui lo Stato, pur inconsapevolmente, rischia di portare maggiori benefici alla criminalità organizzata e non al tessuto produttivo del nostro Paese che ha un disperato bisogno di ripartire. In secondo luogo, a rendere più vulnerabile il sistema è certamente l’oggettiva difficoltà di effettuare, in tempi adeguati e utili, le necessarie verifiche antimafia sulle imprese richiedenti. Al di là dei difetti, probabilmente più formali che sostanziali, in relazione ai requisiti che l’impresa è tenuta ad autocertificare (nel modulo di autocertificazione non c’è un espresso riferimento ai requisiti antimafia, ma all’art. 80 Codice degli appalti e al d. lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti) che al più contribuiscono a creare quella confusione prodromica all’inefficienza, l’aspetto più delicato riguarda proprio le verifiche sul possesso dei requisiti antimafia. I controlli antimafia cui sono tenuti i Prefetti entro 30 giorni dalla richiesta potrebbero, infatti, subire dei rallentamenti consistenti, complici l’ingente numero di richieste di finanziamento e la confusione tipica che caratterizza ogni situazione di emergenza. Peraltro, a quanto ci risulta l’organico delle Prefetture non sembra essere stato rinforzato in vista del potenziale ingente numero di richieste di finanziamento, e dunque di controlli, e questo potrebbe ulteriormente contribuire a rendere meno efficiente la procedura. Il rischio, poi, potrebbe diventare ancor più concreto nell’eventualità in cui l’impresa da controllare non rientri nelle white list prefettizie previste dal dpcm 18.4.2013 o non sia inserita nella banca dati di cui all’art. 96, d. lgs. 159/2011: in tal caso, infatti, saranno necessari ulteriori e più approfonditi controlli che verosimilmente richiederanno più tempo alle Autorità preposte alla verifica. Inoltre, la previsione, all’art. 13 del Decreto Liquidità, di una clausola risolutiva espressa in caso di emersione ex post di una causa ostativa all’erogazione del finanziamento, offre soltanto una “timida” copertura ai rischi paventati. Si pensi, infatti, al caso in cui un’impresa venga costituita ad hoc, tramite prestanome, solo al fine di richiedere il finanziamento garantito. L’impresa di nuova costituzione non risulterebbe certamente iscritta nei canali privilegiati (white list e banca dati citati) che consentono verifiche accelerate e dunque potrebbe illecitamente drenare soldi pubblici facendo leva sulle debolezze e inefficienze dei controlli. Anche Banca d’Italia ha sottolineato alla Camera dei Deputati (commissioni riunite Finanza e Attività Produttive) “…soprattutto la difficoltà di conciliare la esigenza di rapidità d’azione con quelle di controllo di efficacia e di legalità”, evidenziando proprio le criticità delle “…procedure accelerate per il rilascio della garanzia, in particolare con riferimento ai controlli previsti dalla legislazione antimafia” che possono “esporre al rischio di favorire l’economia illegale”. Per queste ragioni, la stessa Banca d’Italia ha proposto “l’obbligo di far confluire le somme erogate e le relative movimentazioni su conti dedicati per consentire la tracciabilità dei flussi”. La tracciabilità delle movimentazioni delle somme erogate a titolo di finanziamento può costituire certamente un presidio efficace, ma sarebbe opportuno individuare controlli più rigorosi anche nella fase precedente all’erogazione, finalizzati a verificare, in termini più approfonditi, il profilo del soggetto richiedente. In questa prospettiva, è senza dubbio necessario un forte coordinamento sinergico tra diverse Autorità, soprattutto le Prefetture, le Procure della Repubblica, la DNA e le DDA, l’Organismo permanente di monitoraggio di recente istituzione e le stesse Forze dell’Ordine.
Il secondo canale: la (rin)corsa alle procedure negoziate d’urgenza e all’affidamento diretto (Decreto Cura Italia)
Il Decreto Cura Italia ha esteso la possibilità di ricorrere in via prioritaria a procedure di gara semplificate, ammettendo alcune deroghe, più o meno incisive, al Codice degli Appalti (d. lgs. 50/2016) finalizzate a consentire alle stazioni appaltanti di far fronte, in tempi rapidi, alla necessità di approvvigionamento dei c.d. beni essenziali (si pensi ai dispositivi medici e ai DPI, alle piattaforme per consentire lo smart working dei dipendenti pubblici, etc.). In queste “aperture”, necessarie e funzionali ad una tempestiva ed efficace gestione dell’emergenza, si annidano tuttavia i maggiori rischi di inquinamento del tessuto economico ad opera delle organizzazioni criminali, spesso capaci ben più delle imprese c.d. sane, a sfruttare a proprio vantaggio le debolezze di ogni sistema emergenziale. Le deroghe e semplificazioni, infatti, “stressano” già di per sé il quadro di principi e regole che presiedono ed informano tutto il sistema della contrattazione pubblica (il principio di trasparenza e di pubblicità delle procedure di aggiudicazione, il dialogo sano e concorrenziale tra imprese, l’attenzione alla qualità del lavoro, servizio o fornitura richiesti), aprendo la strada a possibili distorsioni e violazioni della concorrenza. A maggior ragione, l’introduzione di ulteriori deroghe e semplificazioni nell’ambito di procedure già di per sé “snelle” contribuisce a rendere ancor più vulnerabile un sistema naturalmente esposto a rischi di infiltrazione criminale. Ciò, peraltro, trova conferma nelle recentissime notizie di cronaca giudiziaria che ci consegnano un quadro non incoraggiante sulle prime applicazioni pratiche degli strumenti offerti dal Governo. Venendo al merito, due sono essenzialmente i canali semplificati introdotti dal Decreto Cura Italia per far fronte all’emergenza covid-19: la possibilità di ricorrere, da un lato, alla procedura negoziata d’urgenza (si pensi agli artt. 72, comma 2 e 75, comma 1) in via prioritaria e anche in deroga al Codice degli Appalti, e, dall’altro, all’affidamento diretto ai sensi dell’art. 99, comma 3, dello stesso Cura Italia, anche ben al di sopra delle soglie ammesse dal Codice degli Appalti, per tutti gli acquisti “da utilizzare nelle attività di contrasto dell’emergenza”, finanziati esclusivamente da donazioni da parte di privati o imprese.
Se è vero, per un verso, che non si tratta di interventi normativi “criminogeni”, posto che entrambi gli strumenti si collocano ampiamente all’interno del quadro normativo di riferimento europeo e nazionale, è altrettanto vero che i “timidi” contrappesi previsti dalla normativa emergenziale (obbligo di motivazione, trasparenza, etc.) difficilmente tengono, in situazioni come queste, innanzi alla forza e pervasività delle organizzazioni criminali. Pensiamo ad esempio all’obbligo di adeguata motivazione da parte delle stazioni appaltanti in relazione all’esistenza dei requisiti per ricorrere alla procedura negoziata d’urgenza, ai sensi dell’art. 63, d. lgs 50/2016. In momenti di crisi come quelli che stiamo vivendo, in cui l’urgenza e la straordinarietà rappresentano gli assunti di partenza in relazione ad ogni misura adottata, la motivazione circa l’esistenza dei presupposti è già assorbita dalla scelta dello Stato di ammettere ed estendere il ricorso alla procedura d’urgenza. Si verifica, così, una vera e propria “stabilizzazione/normalizzazione” dello strumento semplificato, che certamente aumenta e dilata le possibili occasioni di infiltrazione criminale. Allo stesso modo, la maggiore “oscurità” delle procedure semplificate, in termini di pubblicità e di confronto tra diversi operatori, consegna alla criminalità organizzata un valido scudo per potersi silenziosamente imporre sulle altre imprese nella contrattazione con la pubblica amministrazione. Inoltre, semplificando, più il sistema è gerarchico e accentrato, più le mafie hanno gioco facile nell’aggiudicarsi le commesse, potendo offrire servizi ad un prezzo molto al di sotto dello standard di mercato e percorrere le vie non istituzionali, esercitando illecite pressioni anche grazie all’enorme liquidità di cui possono disporre. Gli stessi (se non amplificati) profili di rischio attengono anche all’affidamento diretto di cui all’art. 99, comma 3 del Decreto Cura Italia, il quale prevede che “l’acquisizione di forniture e servizi da parte delle aziende, agenzie e degli enti del Servizio sanitario nazionale da utilizzare nelle attività di contrasto dell’emergenza COVID-19, qualora sia finanziata in via esclusiva tramite donazioni di persone fisiche o giuridiche private, ai sensi dell’art. 793 c.c., avviene mediante affidamento diretto, senza previa consultazione di due o più operatori economici, per importi non superiori alle soglie di cui all’articolo 35 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 , a condizione che l’affidamento sia conforme al motivo delle liberalità”.
In forza di tale previsione, le pubbliche amministrazioni possono destinare le liberalità ricevute dai privati, all’acquisto, mediante affidamento diretto senza il confronto tra operatori, di beni o servizi funzionali alla gestione dell’emergenza, anche per importi ben superiori rispetto alle soglie previste all’art. 36, d. lgs. 50/2016. Questa modalità di acquisto semplificato potrebbe rappresentare un valido strumento, utilizzato dalla criminalità organizzata, per “ripulire” proventi illecitamente conseguiti attraverso la donazione di tali somme all’amministrazione e la successiva “restituzione” delle stesse nelle forme di “corrispettivo” per la fornitura erogata dalla medesima amministrazione beneficiaria della donazione. Questo meccanismo è reso possibile dal fatto che non sono previsti particolari controlli sulla corrispondenza tra il soggetto donante e l’aggiudicatario della fornitura; soggetti questi che, dunque, ben potrebbero sovrapporsi, così aprendo la strada a nuove occasioni per organizzazioni criminali di ripulire gli ingenti proventi illeciti di cui dispongono, frutto dei loro tradizionali business criminali. Non vale a scongiurare questo rischio l’obbligo di trasparenza e di rendicontazione separata delle somme ricevute a titolo di donazione imposto alle amministrazioni ai sensi dell’art. 99, comma 5. Infatti, non è previsto alcun controllo ex ante di corrispondenza tra donante e aggiudicatario, bensì la sola apertura di un conto dedicato alla rendicontazione separata di queste somme, da rendere pubblico sul proprio sito internet o con altro mezzo idoneo. È doveroso, a riguardo, domandarsi se non fosse necessario, o anche solo opportuno, prevedere un controllo più rigoroso nella fase immediatamente precedente all’assegnazione diretta, per evitare che il soggetto finanziatore possa mascherare, dietro un’apparente donazione all’amministrazione, finalità illecite.
Altri canali di infiltrazioni criminali nell’emergenza covid-19
Le procedure semplificate previste dalle decretazioni d’urgenza non esauriscono certamente i soli canali che potrebbero essere utilizzati dalla criminalità organizzata per sviluppare i propri business nell’attuale fase emergenziale. Il recente report pubblicato dall’Organismo permanente di monitoraggio, istituito dalla Polizia di Stato proprio per osservare le eventuali infiltrazioni criminali in epoca covid-19, ha descritto un quadro ampio e preoccupante sulle potenziali contaminazioni mafiose nel tessuto produttivo dell’intero territorio nazionale, in particolare nei settori del turismo e della ristorazione. Proprio le difficoltà correlate all’accesso al credito, di cui abbiamo fatto cenno, potrebbero amplificare le situazioni in cui le associazioni mafiose, in sostituzione dello Stato, offrono direttamente a diverse categorie di soggetti quegli aiuti economici di cui hanno bisogno, con una serie di pericolose conseguenze: la fidelizzazione di chi ha ricevuto, dalla stessa criminalità, finanziamenti a tassi bassissimi (anche a tasso zero), che può essere il presupposto per futuri ricatti o richieste di favori, sino al coinvolgimento in attività illecite; il rischio di usura, nel caso di applicazione di tassi elevati; l’intrusione, anche occulta, nella gestione delle società finanziate (l’associazione mafiosa come una sorta di azionista di maggioranza); l’acquisto di società sane con la finalità di trasformarle in veicoli criminali destinati al riciclaggio di denaro proveniente da altre attività criminose.
Altro canale che potrebbe favorire la presenza significativa della criminalità organizzata è quello che riguarda la gestione dei rifiuti speciali sanitari, non solo ospedalieri ma anche generati dall’intera collettività, il cui volume è aumentato, in termini esponenziali, negli ultimi due mesi ed è destinato a crescere ulteriormente. Un recente studio del Politecnico di Torino ha ipotizzato che serviranno, per la ripartenza (l’attuale “Fase 2”) un miliardo di mascherine, mezzo miliardo di guanti e oltre 9 milioni di litri di gel igienizzante al mese, numeri impressionanti che porteranno le mafie ad investire sicuramente anche in questo settore.