Avv. Nicola Pietrantoni
I tempi per la libertà di scelta sulla propria vita sono maturi. In attesa del necessario intervento del legislatore, sono sempre più forti le spinte verso il pieno riconoscimento, ovviamente in presenza di determinate condizioni, del diritto ad una morte rapida senza conseguenze penali nei confronti del soggetto che agevola il proposito suicidario o determina attivamente la morte del consenziente.
Il referendum abrogativo. È partita, il 16/6/2021, la raccolta firme per il referendum sulla parziale abrogazione dell’art. 579 del codice penale, norma che prevede e punisce, con la reclusione da 6 a 15 anni, il c.d. omicidio del consenziente. In estrema sintesi, il referendum propone di prevedere la responsabilità penale di chi cagiona la morte di una persona con il consenso di questa, solamente se il fatto è commesso contro un minorenne, o infermo di mente, o in condizioni di deficienza psichica determinata anche dall’abuso di sostanze alcoliche o stupefacenti, o nel caso in cui il consenso sia stato estorto con violenza, minaccia o suggestione ovvero carpito con inganno. In queste situazioni, infatti, il consenso prestato non può certamente ritenersi valido e sarebbe, dunque, privo di efficacia scriminante.
Il quesito referendario, con le inevitabili complessità e delicatezze di tutte le questioni sottese, non solo giuridiche, si inserisce nel quadro dei principi enunciati recentemente dalla Corte costituzionale in tema di istigazione o aiuto al suicidio, delitto punito, all’art. 580 c.p., con la pena detentiva da 5 a 12 anni.
L’intervento della Corte costituzionale. La Consulta, con l’ordinanza n. 207/2018 e la sentenza n. 242/2019, ha infatti individuato una circoscritta area di non conformità costituzionale della fattispecie di reato, valorizzando la concezione personalistica del bene vita e la libertà di autodeterminazione individuale anche nelle fasi finali dell’esistenza, specie quando si tratti di persone che versano in condizioni di eccezionale sofferenza.
In questa prospettiva, la Corte ha rilevato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formato, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ritiene intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli.
La procedura per l’aiuto al suicidio. La Corte non si è limitata a dichiarare l’annullamento parziale dell’art. 580, ma ha previsto, nelle more di un auspicato intervento del parlamento sul punto, una vera e propria procedura di controllo preventivo delle condizioni che rendono legittimo l’aiuto al suicidio, prendendo come punto di riferimento la legge n. 219/2017 (“Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di testamento”) che già definisce una “procedura medicalizzata”, affidata a strutture pubbliche del servizio sanitario nazionale, a favore delle persone che vogliono lasciarsi morire mediante la rinuncia a trattamenti sanitari alla loro sopravvivenza.
In caso di aiuto al suicidio, che si realizzerebbe invece attraverso la messa a disposizione di un farmaco letale al soggetto interessato, la struttura pubblica dovrà verificare tutti i requisiti sostanziali posti dalla Corte (patologia irreversibile, sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili, sottoposizione a trattamenti di sostegno vitale, capacità di autodeterminazione) e la modalità di esecuzione, in modo tale da garantire la dignità del paziente ed evitare sofferenze e abusi in danno di persone vulnerabili.
Ruolo del medico e obiezione di coscienza. Il personale sanitario, alla cui coscienza è riconosciuto uno spazio tale per cui non possono essere obbligati a esaudire la richiesta del malato (situazione di non-obbligo espressamente riconosciuta dalla Corte), dovrà accertare e documentare la capacità di autodeterminazione del paziente e il carattere libero e informato della scelta espressa, nonché prospettare all’aspirante suicida le possibili alternative come la terapia del dolore e l’erogazione di cure palliative (sedazione profonda).
Ruolo del comitato etico. La delicatezza dei valori in gioco ha poi suggerito il coinvolgimento dei comitati etici territorialmente competenti, organismi di consultazione e di riferimento per i problemi di natura etica che possono presentarsi nelle più svariate dinamiche sanitarie. Il parere dei comitati etici avrà certamente un ruolo significativo nella valutazione concreta dei presupposti che oggi potrebbero consentire, proprio alla luce delle indicazioni fornite dalla Consulta, la non punibilità dell’aiuto al suicidio.
La recente ordinanza. Proprio nei giorni scorsi, il Tribunale di Ancona ha riconosciuto il diritto di un malato di pretendere l’accertamento delle condizioni che consentono di realizzare la volontà di congedarsi dalla vita. Per queste ragioni, il tribunale ha ordinato all’Asl regionale di verificare, acquisito il parere del comitato etico, la sussistenza dei relativi presupposti, nonché “l’idoneità ed efficacia delle modalità, della metodica e del farmaco prescelti dall’istante per assicurasi la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile”.