Avv. Nicola Pietrantoni
Risponde di truffa chi finge di poter corrompere un funzionario pubblico e chiede per questo un compenso.
Il soggetto che si affida al c.d. venditore di fumo, infatti, viene indotto in errore per effetto della condotta ingannatoria che lo porta a credere di poter contare sull’attività di mediazione illecita e, proprio per queste ragioni, compie un atto di disposizione che altrimenti non avrebbe compiuto.
La Corte di cassazione, con la recente sentenza n. 28657 del 22/7/2021, ha affermato che c’è continuità normativa tra il reato di millantato credito, ex art. 346, comma 2, c.p., formalmente abrogato dalla legge n. 3/2019 (legge Spazzacorrotti), e il delitto di truffa, che prevede la responsabilità penale di «chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno» (art. 640, c.p.).
I fatti contestati. La condotta inizialmente contestata all’imputato era quella prevista all’art. 346, comma 2, c.p., fattispecie che puniva il millantatore che «riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare».
Il ricorrente, dipendente del Ministero della Difesa, si era infatti presentato, ad alcuni candidati che avrebbero dovuto affrontare prove selettive e concorsi ministeriali, come persona in grado di “risolvere i vari problemi”, millantando di avere relazioni nell’ambiente militare idonee ad influire sulle decisioni della commissione giudicatrice. Lo stesso si faceva consegnare anche del denaro dagli interessati proprio con il pretesto di comprare i favori delle autorità militari.
L’imputato, si legge nella sentenza sopra richiamata, in realtà «ingannava le diverse persone poiché non era vero che fosse in grado di alterare il corso delle prove e di assicurare un esito favorevole»: circostanza che ha portato l’Autorità giudiziaria ad ipotizzare, a seguito dell’abrogazione del reato di millantato credito, il traffico di influenze illecite (art. 346-bis, c.p.), quest’ultimo introdotto dalla legge n. 190/2012 (legge Severino) e poi modificato proprio con la legge Spazzacorrotti del 2019.
L’art. 346-bis, infatti, punisce anche chi, vantando un’influenza, non solo effettiva ma anche meramente asserita, presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro ovvero altra utilità per remunerare il pubblico agente.
La continuità normativa tra millantato credito e truffa. La Suprema Corte ha ritenuto però che la contestata condotta di millantato credito, in precedenza sanzionata all’art. 346, comma 2, c.p., «…non poteva che realizzarsi attraverso artifici e raggiri sostanzialmente riconducibili al paradigma della truffa».
La cassazione, dunque, ha condiviso quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui «non sussiste continuità normativa tra il reato di millantato credito di cui all’art. 346, comma secondo, cod. pen. e quello di traffico di influenze illecite di cui al novellato art. 346-bis cod. pen., in quanto in quest’ultima fattispecie non risulta ricompresa la condotta di chi, mediante raggiri o artifici, riceve o si fa dare o promettere danaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il pubblico ufficiale o impiegato o doverlo comunque remunerare, condotta che integra, invece, il delitto di cui all’art. 640, comma primo, cod. pen.» (Cass. pen., VI sezione, n. 5221 del 18/9/2019).
Il riferimento, nella norma abrogata, al «pretesto» di dover comprare il favore del pubblico agente (o di doverlo remunerare), si legge sempre nelle motivazioni della sentenza, «…evocava una componente di frode e dunque la rappresentazione di una falsa causa a base della richiesta (…), idonea ad indurre in errore la vittima».
In buona sostanza, come affermato sempre dalla cassazione in precedenti pronunce, il millantatore (il c.d. venditore di fumo) strumentalizzava l’inesistente esigenza di dover corrompere il pubblico funzionario, consapevole che tale elemento avrebbe svolto un ruolo significativo nel processo di formazione della volontà di accettare l’accordo da parte del soggetto passivo (Cass. pen., VI sezione, n. 40940 del 12/7/2017).
Il c.d. compratore di fumo come vittima della truffa.In questa prospettiva, il compratore di fumo non può che assumere il ruolo di soggetto passivo e di potenziale danneggiato dal reato, proprio in quanto indotto in errore dall’attività ingannatoria del millantatore.
Il rilievo secondo cui il ruolo di vittima striderebbe con il disvalore che caratterizza l’intenzione, certamente illecita, perseguita dal compratore, è stato affrontato e risolto dalla stessa giurisprudenza di legittimità, che ha ammesso la tutela del truffato in re illicita, sottolineando che, laddove il soggetto passivo abbia agito per causa immorale, delittuosa o altrimenti illecita, non vengono meno l’ingiustizia del profitto e l’altruità del danno, né l’esigenza di tutela del patrimonio e della libertà del consenso dei negozi patrimoniali, che costituisce l’oggettività giuridica del delitto di truffa (Cass. pen., I sezione, n. 42890 del 27/9/2013).
Traffico di influenze illecite e millantato credito. Le prime sentenze della cassazione, all’indomani della riforma del 2019, avevano sottolineato che la nuova fattispecie incriminatrice ex art. 346-bis «…ingloba la precedente contemplata dall’articolo 346 del codice penale», in quanto «…sostanzialmente sovrapponibili sono, tanto la condotta strumentale (stante l’equipollenza semantica fra le espressioni ‘sfruttando o vantando relazioni (…) asserite’ e quella di ‘millantando credito’) quanto la condotta ‘principale’ di ricezione o di promessa, per sé o per altri, di denaro o altra utilità» (Cass. pen., VI sezione, n. 17980 del 30/4/2019).
Questa impostazione trovava, in un certo senso, conferma nel contenuto della relazione di accompagnamento che ha preceduto la legge n. 3/2019, in cui si legge che «…per conformare fedelmente la normativa interna a quella sovranazionale, viene apportata una radicale modifica, in senso ampliativo, della fattispecie incriminatrice del traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.), con riassorbimento nello stesso delle condotte di millantato credito e contestuale abrogazione dell’art. 346 c.p.».
Più nello specifico, il legislatore ha precisato che «la ratio di tali obblighi e del presente intervento normativo sta nel prevenire il pericolo che la corresponsione di indebite utilità a un faccendiere che assuma di poter influire su pubblici funzionari (o a persona che si presenti come tale, a prescindere dall’attualità della relazione di influenza vantata) si traduca realmente in un contatto con i pubblici ufficiali e nella possibilità di una reale corruzione di quest’ultimi, per la prospettiva di un immediato guadagno, specie in contesti a corruzione diffusa come quelli presenti nel nostro Paese».
La punibilità del compratore di influenze nel delitto ex art. 346-bis, c.p. Per le ragioni sopra sintetizzate, il novellato delitto di traffico di influenze illecite punisce la persona che «…indebitamente dà o promette denaro o altra utilità» anche al soggetto che finge di essere in grado di esercitare un’influenza illecita presso la pubblica amministrazione (art. 346-bis, comma 2, c.p.).
Il legislatore del 2019, nella relazione più volte citata, ha precisato che «…la doppia punibilità, sia di chi dà, sia di chi riceve il vantaggio indebito per il traffico di influenze illecite, è imposta dalla necessità di adeguamento agli obblighi assunti sul piano internazionale», le cui convenzioni «…non distinguono la posizione degli aderenti al patto (il compratore e il venditore dell’influenza), entrambi ugualmente puniti per le rispettive condotte».
Una prospettiva futura. I principi espressi nella recente sentenza del 22/7/2021, in parziale contrasto con l’impostazione appena richiamata, potrebbero delimitare, in termini significativi, il futuro perimetro applicativo del traffico di influenze illecite. Infatti, le condotte del mediatore del tutto inidonee a incidere sul processo decisionale della p.a. dovrebbero essere collocate nella dimensione della truffa, in quanto sorrette unicamente dall’elemento dell’inganno, con conseguente non punibilità di colui che corrisponde, o promette, l’utilità. In questo contesto interpretativo, però, potrebbe essere difficile attribuire il corretto disvalore penale alle situazioni in cui l’agente, alterando comunque la realtà agli occhi dell’interessato, si sia limitato a magnificare le sue (ridotte) capacità di influenzare il pubblico funzionario e abbia convinto il suo interlocutore a corrispondergli del denaro.
Art. 346, c.p. (Millantato credito) – abrogato |
1-Chiunque, millantando credito presso un pubblico ufficiale, o presso un pubblico impiegato che presti un pubblico servizio, riceve o fa dare o fa promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione verso il pubblico ufficiale o impiegato, è punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da 309 euro a 2.065 euro. 2-La pena è della reclusione da due a sei anni e della multa da 516 euro a 3.098 euro, se il colpevole riceve o fa dare o promettere, a sé o ad altri, denaro o altra utilità, col pretesto di dover comprare il favore di un pubblico ufficiale o impiegato, o di doverlo remunerare. |
Art. 346-bis, c.p. (Traffico di influenze illecite) |
1-Chiunque, fuori dei casi di concorso nei reati di cui agli articoli 318, 319, 319-ter e nei reati di corruzione di cui all’articolo 322-bis, sfruttando o vantando relazioni esistenti o asserite con un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, indebitamente fa dare o promettere, a se’ o ad altri, denaro o altra utilità, come prezzo della propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o uno degli altri soggetti di cui all’articolo 322-bis, ovvero per remunerarlo in relazione all’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, è punito con la pena della reclusione da un anno a quattro anni e sei mesi. 2-La stessa pena si applica a chi indebitamente dà o promette denaro o altra utilità. (…) |
Art. 640, c.p. (Truffa) |
1-Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 51 euro a 1.032 euro (…) |