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Nicola Pietrantoni

Patteggiamento con effetti soft

Avv. Nicola Pietrantoni

La sentenza di patteggiamento avrà meno effetti extrapenali e non avrà più un impatto negativo nei giudizi disciplinari.

È uno degli effetti delle misure contenute nella legge 27/9/2021, n. 134 («Delega al Governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari»), nota anche come «riforma Cartabia», al cui articolo 1 sono elencate una serie di deleghe che dovranno essere esercitate, secondo determinati principi e criteri direttivi, dal governo entro un anno dall’entrata in vigore della legge (e, cioè, entro il 19/10/2022). Obiettivo è modificare anche alcune disposizioni del codice di procedura penale che disciplinano i cosiddetti procedimenti speciali (patteggiamento, giudizio abbreviato, giudizio immediato e procedimento per decreto).

Scopo della riforma. La finalità dell’intervento normativo è prevalentemente deflattiva: il legislatore ha voluto incentivare il ricorso ai riti alternativi rispetto a quello ordinario, proprio per ridurre il numero e la durata dei processi penali, il cui carico dibattimentale viene spesso gestito, con estrema difficoltà, dagli uffici giudiziari. Lo scorso anno, di fronte al Tribunale in composizione monocratica, organo competente a giudicare un numero molto significativo di reati, poco più dell’8% dei procedimenti è stato definito con il patteggiamento (il 12% con rito abbreviato), mentre il 69% ha seguito l’iter ordinario, e cioè il vero e proprio processo che può durare anche alcuni anni, con il rischio concreto che la prescrizione intervenga prima dell’eventuale sentenza di condanna.

Il patteggiamento nella legge delega. Con particolare riferimento all’applicazione della pena su richiesta delle parti (cosiddetto patteggiamento), il legislatore ha voluto rendere questa opzione più attrattiva e conveniente per gli indagati e gli imputati, eliminando o attenuando una serie di effetti tendenzialmente negativi che non agevolavano la scelta di questo rito alternativo.

Per queste ragioni, si legge nel testo normativo, i futuri decreti legislativi dovranno: «prevedere che, quando la pena detentiva da applicare supera i due anni, l’accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alle pene accessorie e alla loro durata; prevedere che, in tutti i casi di applicazione della pena su richiesta, l’accordo tra imputato e pubblico ministero possa estendersi alla confisca facoltativa e alla determinazione del suo oggetto e ammontare; ridurre gli effetti extrapenali della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, prevedendo anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi» (art. 1, co. 10).

Il patteggiamento nell’attuale sistema normativo. L’istituto consiste essenzialmente in una sorta di ratifica, attraverso una sentenza emessa dal giudice per le indagini preliminari o dal giudice del dibattimento (a seconda della fase in cui viene chiesto il rito alternativo), dell’accordo intervenuto tra l’indagato/imputato e il pubblico ministero su una pena pecuniaria, diminuita fino a un terzo, oppure su una pena detentiva che tenuto conto delle circostanze e diminuita fino a un terzo non supera cinque anni soli o congiunti a pena pecuniaria (art. 444, cpp).

Il giudice, verificata l’assenza di determinate cause di non punibilità che dovrebbero portare al proscioglimento dell’indagato/imputato, se ritiene, sulla base degli atti, corrette la qualificazione giuridica del fatto, l’applicazione e la comparazione delle circostanze prospettate dalle parti, nonché congrua la pena, applica la pena richiesta dalle parti.

Nel caso si proceda per reati particolarmente gravi (per esempio, alcuni delitti a sfondo sessuale) e nei confronti di determinate categorie di persone (delinquenti abituali, professionali o recidivi), il patteggiamento è ammesso solo se la pena detentiva finale non supera i due anni, soli o congiunti a pena pecuniaria.

Nei casi previsti dalla legge, dunque, la persona coinvolta nel procedimento penale può chiedere, per le più svariate ragioni anche di carattere personale, al giudice l’applicazione della pena concordata con il pubblico ministero, evitando così l’accertamento dibattimentale e le conseguenze dell’istruttoria, non solo in termini di eventuale condanna a una pena più elevata, ma anche di danno reputazionale per la dimensione pubblica che caratterizza il processo penale.

Gli effetti della sentenza ex art. 444 cpp. La sentenza di patteggiamento, equiparata sostanzialmente a una pronuncia di condanna, non ha efficacia nei giudizi civili e amministrativi (art. 445, co. 1-bis, cpp), in quanto quest’ultimi devono essere necessariamente considerati un contenzioso tra parti pariteticamente contrapposte, «…per le quali gli effetti extrapenali del giudicato di condanna devono tenere conto della possibilità che entrambe le parti abbiano avuto di misurarsi in contraddittorio in sede penale» (Sent. n. 336/2009, Corte cost.): il rito alternativo in questione, infatti, presuppone proprio la rinuncia al contraddittorio tipico della fase dibattimentale.

Il nostro ordinamento, inoltre, concede una serie di benefici alla persona che ha scelto di patteggiare, in modo particolare se la pena finale applicata non supera due anni di detenzione (soli o congiunti alla sanzione pecuniaria): solamente in questi casi, la sentenza ex art. 444 cpp non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento, né l’applicazione delle pene accessorie e delle misure di sicurezza tranne la confisca (art. 445, co. 1, cpp).

La riforma Cartabia, come già anticipato, ha previsto che l’accordo tra l’indagato/imputato e la pubblica accusa possa sempre comprendere l’oggetto e l’ammontare della confisca facoltativa e, nel caso di patteggiamento a pena detentiva superiore a due anni, anche le pene accessorie e la loro durata. La finalità, ovviamente, è sempre quella di incentivare il ricorso a questo rito speciale, mitigando soprattutto gli effetti che conseguono al patteggiamento allargato.

Patteggiamento e giudizio disciplinare. La legge delega, inoltre, ha previsto che il patteggiamento «…non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi». L’intervento ha una portata ampia e senza dubbio molto significativa, ovviamente per i destinatari della sentenza ex art. 444 cpp che devono anche rispondere, nelle competenti sedi disciplinari, di addebiti originati proprio dal reato patteggiato.

L’attuale formulazione dell’art. 653, cpp, oltre a stabilire che la sentenza definitiva di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità, prevede che anche la sentenza penale irrevocabile di condanna (e, dunque, quella di patteggiamento in quanto ad essa equiparata) ha effetto di giudicato nella medesima sede disciplinare «…quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e dell’affermazione che l’imputato lo ha commesso».

Le autorità disciplinari (per esempio, gli ordini professionali), quando devono giudicare il soggetto che ha patteggiato, dovrebbero quindi limitarsi a valutare l’eventuale disvalore disciplinare/deontologico del fatto già cristallizzato nella sentenza ex art. 444 cpp, ossia nel capo di imputazione su cui è stato raggiunto l’accordo poi ratificato con la sentenza del giudice.

La giurisprudenza di legittimità, in merito al potere accertativo riservato all’organo disciplinare in questi casi, ha ritenuto che «la sentenza di applicazione di pena patteggiata, a prescindere dalla sua qualificazione come sentenza di condanna, presuppone pur sempre un’ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice disciplinare dall’onere della prova» (sezioni unite civili, n. 17289/2006).

Se verrà meno questo automatismo, potranno realizzarsi scenari che oggi sono difficilmente ipotizzabili: all’incolpato, infatti, sarebbe consentita una difesa più penetrante in ordine alla contestazione disciplinare, che potrebbe tradursi addirittura nella prospettazione di una lettura alternativa del fatto oggetto della sentenza irrevocabile di patteggiamento, con tutti i potenziali riflessi anche in materia di revisione di quella sentenza passata in giudicato.