Avv. Nicola Pietrantoni – (Italia Oggi, 21 marzo 2022)
È legittima la doppia sanzione penale e amministrativa in ambito tributario, purché sia proporzionata nel suo complesso.
Il nostro ordinamento deve infatti garantire, in sede di irrogazione della seconda sanzione, un meccanismo di compensazione che consenta di tenere conto degli effetti della prima, in modo tale da evitare che il trattamento sanzionatorio complessivamente applicato sia sproporzionato.
Il giudice penale, in particolare, deve commisurare la pena anche alla luce della sanzione amministrativa già irrogata, utilizzando una serie di criteri e strumenti normativi, quali il ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive (art. 135, c.p.), la concessione delle circostanze attenuanti generiche (art. 65-bis, c.p.), nonché la valutazione delle condizioni economiche del condannato (art. 133-bis, c.p.).
La Corte di cassazione (terza sezione penale), con la recente sentenza n. 2245/2022 (motivazioni depositate il 20/1/2022), è tornata a pronunciarsi sul doppio binario sanzionatorio in materia tributaria, richiamando alcuni principi di diritto elaborati dalla Corte Edu e dalla Corte di giustizia dell’Ue.
La vicenda giudiziaria. I giudici di legittimità hanno affrontato il caso di un ricorrente ritenuto responsabile, nei precedenti gradi di giudizio, del reato previsto e disciplinato all’art. 4, d lgs 74/2000 (“Dichiarazione infedele”), perché, al fine di evadere le imposte sul reddito, aveva indicato, nella dichiarazione annuale (modello unico 2012), elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, omettendo di dichiarare redditi percepiti nel 2011 e derivanti da attività illecita (riconducibili a distrazioni di somme di denaro in danno di una società fallita).
Per quei fatti contestati, il tribunale aveva condannato l’imputato, nel febbraio 2019, alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione (oltre alle pene accessorie), sentenza poi confermata dalla Corte di appello nel gennaio 2021.
L’impostazione difensiva del ricorrente. Tra i motivi di ricorso, l’imputato ha dedotto anche la violazione dell’art. 649 del codice di procedura penale (“Divieto di un secondo giudizio”) e del divieto di “bis in idem”, richiamando soprattutto l’interpretazione offerta dalla giurisprudenza comunitaria in merito alla applicazione dell’art. 4, Prot. 7, Convenzione Edu (“Diritto di non essere giudicato o punito due volte”), nonché dell’art. 50, Carta europea dei diritti fondamentali (“Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato”).
Il ricorrente, nello specifico, ha argomentato che era intervenuta nei suoi confronti, proprio nella pendenza del procedimento penale, la sentenza con cui la Commissione tributaria, nell’ottobre 2019, aveva confermato la legittimità dell’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate (finalizzata a recuperare la tassazione su redditi non dichiarati) e irrogato le relative sanzioni amministrative per il medesimo fatto oggetto di accertamento in sede penale.
Il Giudice penale di seconde cure, sostiene sempre il ricorrente, non solo avrebbe erroneamente escluso, con motivazioni contraddittorie, la violazione del “ne bis in idem” lamentata anche in sede di appello, ma avrebbe anche omesso la necessaria verifica sulla proporzionalità della sanzione, amministrativa e penale, complessivamente inflitta.
Il fatto che la sola sanzione amministrativa, qualora venisse computata in pena detentiva, corrisponderebbe a circa sette anni di reclusione, dimostrerebbe il suo eccessivo carattere afflittivo.
Doppio binario e “ne bis in idem”. La Cassazione, innanzitutto, ha ritenuto che la condotta in contestazione integra due fatti diversi che possono essere sanzionati, in via separata ed autonoma, in sede penale e amministrativa.
La presentazione di una dichiarazione infedele, infatti, costituisce un unico fatto materiale che viola due diverse disposizioni normative: da una parte, il d lgs 471/1997, che prevede sanzioni amministrative e, dall’altra, il d lgs 74/2000, che applica sanzioni penali.
Ciò non esclude, però, il divieto di “bis in idem”, perché il fatto addebitato può anche essere considerato lo stesso sul piano sostanziale/naturalistico. La stessa Corte Edu, sul punto, ha suggerito una interpretazione estensiva dell’art. 4, Prot. 7, Cedu, secondo la quale il reato è il medesimo se i fatti che lo integrano sono identici, oppure sono sostanzialmente gli stessi. In altre parole, si deve fare riferimento all’insieme “…di circostanze di fatto concrete che coinvolgono lo stesso imputato e che sono inestricabilmente legate tra loro nel tempo e nello spazio, la cui esistenza deve essere dimostrata al fine di ottenere una condanna o avviare un procedimento penale” (sentenza Grande Camera, 10/2/2009 caso Sergey Zolotukhin contro Russia).
La ratio dell’art. 4, Prot. 7, in particolare, è proprio quella di evitare eccessive conseguenze sul piano sanzionatorio nei confronti della stessa persona punita o perseguita due volte per la medesima condotta.
Stretta connessione sostanziale e temporale.I giudici di legittimità, con la sentenza n. 2245/2022, hanno richiamato anche l’insegnamento della giurisprudenza comunitaria sul principio del “ne bis in idem”, il cui rispetto esige la stretta connessione sostanziale e temporale dei due procedimenti (amministrativo e penale).
A tal proposito, non si integreranno violazioni del principio in questione qualora ricorrano i seguenti fattori: il perseguimento di finalità complementari e la valutazione, anche in concreto, dei diversi aspetti della condotta illecita oggetto di valutazione giudiziaria; la prevedibilità che la medesima condotta integri due illeciti e, dunque, inneschi due procedimenti diversi; la minimizzazione del rischio, per quanto possibile, di duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove, anche attraverso una efficace interazione tra le varie autorità competenti per favorire che l’accertamento dei fatti nell’ambito di un procedimento venga utilizzato anche nell’altro; l’esistenza di un meccanismo di compensazione che consenta di tener conto, in sede di irrogazione della seconda sanzione, degli effetti della prima, proprio per evitare che la sanzione complessivamente irrogata sia sproporzionata.
Proporzionalità delle sanzioni e strumenti per commisurare la pena. Proprio sullo specifico tema della necessaria proporzionalità del trattamento sanzionatorio nel suo complesso, i giudici di legittimità, in accoglimento del ricorso dell’imputato, hanno annullato la sentenza impugnata proprio perché la Corte di appello non aveva applicato quel meccanismo di compensazione che avrebbe invece garantito una pena proporzionata.
La Cassazione, sul punto, ha offerto alcuni strumenti che possono essere utilizzati dalle corti di merito per la commisurazione della sanzione penale alla luce di una sanzione amministrativa già irrogata, con la doverosa precisazione che “…naturalmente, il giudice penale non può modificare la sanzione amministrativa irrevocabilmente e separatamente già irrogata, ma può e deve tenerne conto ai fini della applicazione della sanzione penale”.
Innanzitutto, è stato richiamato il criterio che disciplina il ragguaglio tra pene pecuniarie e pene detentive, il cui computo “…ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva” (art. 135, c.p.).
Un altro criterio che può essere utilizzato per adeguare la sanzione è rappresentato dalla concessione delle attenuanti generiche che consentono di determinare la pena anche in misura inferiore al minimo edittale (art. 62-bis, c.p.).
Ancora, il giudice può tenere conto, quando deve procedere alla quantificazione della multa o dell’ammenda, non solo dei criteri generali in ordine alla gravità del reato (art. 133, c.p.), ma anche delle condizioni economiche del reo (art. 133-bis, c.p.).
Il principio di proporzionalità della pena complessiva, infine, non si applica evidentemente quando risulta che la sanzione amministrativa è stata pagata da un soggetto diverso rispetto all’autore del reato.
Cass. Pen., Sez. III, n. 2245/2022 |
Proporzionalità tra sanzione amministrativa e penale in caso di “bis in idem” |
Deve essere garantito un meccanismo di compensazione che consenta di tener conto, in sede di irrogazione della seconda sanzione, degli effetti della prima così da evitare che la sanzione complessivamente irrogata sia sproporzionata |
Criteri per determinare la sanzione penale alla luce di una sanzione amministrativa già applicata (meccanismo di compensazione) |
Art. 62-bis, C.P. (Circostanze attenuanti generiche): “Il giudice…può prendere in considerazione altre circostanze diverse, qualora le ritenga tali da giustificare una diminuzione della pena”. |
Art. 133-bis, C.P. (Condizioni economiche del reo; valutazione agli effetti della pena pecuniaria): ”Nella determinazione dell’ammontare della multa o dell’ammenda il giudice deve tenere conto (…) anche delle condizioni economiche del reo”. |
Art. 135, C.P. (Ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive): “Quando, per qualsiasi effetto, giuridico, si deve eseguire un ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250, o frazione di euro 250, di pena pecuniaria per un giorno di pena detentiva” |
Inoperatività del principio di proporzionalità in sede penale |
Quando la sanzione amministrativa è stata pagata da un soggetto diverso rispetto all’autore del reato |