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Beni culturali, terreno minato

Avv. Nicola Pietrantoni

Rischio elevato per case d’asta, musei, fondazioni e istituti di credito, oltre a investitori, galleristi e collezionisti d’arte: possono essere coinvolti penalmente molto più facilmente rispetto al passato. Scatta, infatti, la responsabilità 231 in caso di reati contro il patrimonio culturale. E così sono molti di più gli operatori del mercato dell’arte, e non solo, che dovranno prestare massima attenzione ai nuovi reati presupposto e valutarne l’impatto sulla gestione dei rischi. È questo uno degli effetti della legge n. 22 del 9/3/2022 («Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale»), pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo ed entrata in vigore il giorno successivo, che ha infatti inserito determinate fattispecie penali a protezione dei beni culturali nell’elenco dei reati presupposto per la responsabilità penale amministrativa delle persone giuridiche, disciplinata ai sensi del dlgs 231/2001.

I reati presupposto 231. Più in particolare, si tratta dei seguenti delitti, attualmente previsti, proprio a seguito dell’intervento riformatore di cui sopra, dal codice penale: violazione in materia di alienazione di beni culturali (art. 518-novies), appropriazione indebita di beni culturali (art. art. 518-ter), importazione illecita di beni culturali (art. 518-decies), uscita o esportazione illecita di beni culturali (art. 518-undecies), distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento, e uso illecito di beni culturali o paesaggistici (art. 518-duodecies), contraffazione di opere d’arte (art. 518-quaterdecies), furto di beni culturali (art. 518-bis), ricettazione di beni culturali (art. 518-quater), falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali (art. 518-octies), riciclaggio di beni culturali (art. 518-sexies), devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (art. 518-terdecies).

La disciplina 231, nel nostro ordinamento, già prevede il coinvolgimento degli enti, in sede penale, per alcuni delitti commessi nel loro interesse o vantaggio da coloro che rivestono posizioni apicali o da soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza di questi (cfr. art. 5, dlgs 231/2001).

La Convenzione di Nicosia del 2017. Il nuovo assetto legislativo sulla tutela del patrimonio culturale, in termini generali, origina dalla ratifica ed esecuzione, da parte dell’Italia, della Convenzione del consiglio d’Europa sulle infrazioni relative ai beni culturali, formalizzata a Nicosia il 19/5/2017.

Il legislatore comunitario, partendo dalla convinzione che i beni culturali appartenenti ai popoli costituiscano una testimonianza unica e importante della loro cultura e identità, ha segnalato la preoccupante crescita di diverse tipologie di reati, commessi soprattutto dalla criminalità organizzata internazionale, correlati a questi particolari beni e concretamente idonei a vulnerare il patrimonio culturale mondiale.

Per queste ragioni, la Convenzione si è posta, in termini espliciti, i seguenti obiettivi: 1) prevenire e combattere la distruzione, il danneggiamento e la tratta di beni culturali, rendendo reati determinati comportamenti; 2) rafforzare l’attività di prevenzione e la reazione del sistema di giustizia penale a tutti i reati relativi ai beni culturali; 3) promuovere la cooperazione nazionale e internazionale.

Sullo specifico versante della responsabilità degli enti, l’art. 13 («Responsabilità delle persone giuridiche») della Convenzione ha disposto che «…ciascuna Parte provvede affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili per reati di cui alla presente Convenzione, quando commessi a loro vantaggio da qualsiasi persona fisica che abbia agito individualmente o come parte di un organo della persona giuridica e che abbia, con riferimento alla persona giuridica, un ruolo di guida basato su: a) un potere di rappresentanza della persona giuridica; b) l’autorità di prendere decisioni a nome della persona giuridica; c) l’autorità di esercitare il controllo all’interno della persona giuridica».

La riforma in sintesi. A seguito dell’entrata in vigore del nuovo impianto normativo, tutti i reati contro i beni culturali sono stati collocati, innanzitutto, all’interno del codice penale sotto il Titolo VIII-bis («Dei delitti contro il patrimonio culturale») con la contestuale abrogazione delle fattispecie che erano precedentemente disciplinate dal dlgs 42/2004 («Codice dei beni culturali e del paesaggio»).

Si è proceduto, poi, a un generale inasprimento del trattamento sanzionatorio per questa categoria di reati, con la previsione di ulteriori e nuove circostanze aggravanti. Infine, in tema di confisca cosiddetta «allargata» (art. 240-bis, cp), il legislatore ha ampliato il catalogo dei delitti in relazione ai quali la misura è consentita, inserendo anche la ricettazione di beni culturali, l’impiego di beni culturali provenienti da delitto, il riciclaggio e l’autoriciclaggio (sempre) di beni culturali.

I profili delle persone giuridiche coinvolte dalla riforma. La previsione della responsabilità 231 rappresenta forse l’elemento di maggior novità e impatto della riforma, considerata anche la vasta platea di soggetti potenzialmente interessati: ovviamente, non solo le organizzazioni criminali richiamate nel preambolo alla Convenzione di Nicosia, ma anche quelle realtà organizzate in modo assolutamente fisiologico.

Nel cosiddetto «mercato dell’arte», infatti, operano frequentemente non solo persone fisiche con diverse competenze e professionalità (investitori qualificati e non, galleristi, collezionisti esperti, semplici appassionati d’arte), ma anche persone giuridiche di varia natura: si ricordano, in particolare, le case d’asta nazionali e internazionali, le istituzioni museali pubbliche e private, gli archivi d’artista, nonché le fondazioni e gli istituti di credito che gestiscono importanti collezioni di opere d’arte dallo straordinario valore culturale ed economico.

In epoca anteriore alla legge 9/3/2022, n. 22, queste realtà potevano subire un coinvolgimento in sede penale, ex dlgs 231/2001, a seguito della commissione di reati in qualche modo correlati alla tutela del patrimonio culturale, nei casi in cui il pubblico ministero avesse eventualmente ipotizzato, a carico di un soggetto apicale o sottoposto alla sua direzione/vigilanza, una contestazione di ricettazione, riciclaggio o autoriciclaggio.

L’attuale inserimento dei delitti contro il patrimonio culturale nell’elenco dei reati presupposto ex dlgs 231/2001 ha invece amplificato, in modo esponenziale, il rischio che questi soggetti possano concretamente subire anche solo un coinvolgimento penale, a fronte di condotte che, in alcuni casi, potrebbero difficilmente integrare il modello punitivo di riferimento.

La circolazione internazionale degli oggetti d’arte. Pensiamo, a titolo esemplificativo, a quelle persone giuridiche (in primis, le case d’aste) che intervengono, in via diretta o attraverso altri soggetti (cosiddetti trasportatori), nella complessa gestione della circolazione internazionale (in entrata o in uscita) di opere d’arte, con un ruolo attivo nella procedura pubblica finalizzata a chiedere e ottenere, dai vari uffici territoriali della Soprintendenza, il provvedimento autorizzativo dell’uscita di quei beni dai confini nazionali (attestato di libera circolazione/licenza di esportazione, a seconda del paese cui è destinata l’opera: comunitario/extracomunitario).

La nuova fattispecie delittuosa di «uscita o esportazione illecite di beni culturali» (art. 518-undecies), un tempo punita dall’art. 174, dlgs 42/2004, prevede che «chiunque trasferisce all’estero beni culturali, cose di interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico o altre cose oggetto di specifiche disposizioni di tutela ai sensi della normativa sui beni culturali, senza attestato di libera circolazione o licenza di esportazione, è punito con la reclusione da due a otto anni e con la multa fino a 80 mila euro».

Rapporto tra fattispecie penale e disciplina amministrativa. L’obiettiva complessità della disciplina amministrativa di riferimento, spesso connotata da mancanza di uniformità valutativa e operativa, può generare alcune irregolarità, anche di natura colposa, proprio da parte di quei soggetti che interloquiscono con gli uffici pubblici.

In questi casi, si rischia di innescare, in modo automatico, la contestazione dell’art. 518-undecies, delitto punito esclusivamente a titolo di dolo, non solo nei confronti della persona fisica, ma, oggi, anche della persona giuridica, con conseguenze a dir poco destabilizzanti per quest’ultima.

Gli effetti della contestazione/condanna. Una situazione del genere, infatti, può generare impatti negativi per il solo fatto di essere coinvolti in un’indagine penale, innanzitutto per gli inevitabili risvolti di carattere reputazionale. Nel caso di condanna dell’ente, non vanno poi sottovalutate le sanzioni pecuniarie e, soprattutto, gli effetti paralizzanti della stessa attività della persona giuridica generati dall’eventuale applicazione delle seguenti sanzioni interdittive previste all’art. 9, dlgs 231/2001: a) l’interdizione dall’esercizio dell’attività; b) la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; c) il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; d) l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi; e) il divieto di pubblicizzare beni o servizi.