Avv. Nicola Pietrantoni e Maria Beatrice Lanzavecchia – (ItaliaOggi, 1 agosto 2022)
Il concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale non può prescindere dall’accertamento dell’effettivo contributo materiale e psicologico del concorrente rispetto alla commissione del reato.
La responsabilità penale del cosiddetto extraneus, infatti, non può basarsi unicamente sulle sue qualità personali o professionali, né sulla particolare rilevanza del rapporto esistente tra questi e l’imprenditore dichiarato fallito.
Questo principio ha trovato recente affermazione nella sentenza n. 26426/2022 (motivazioni depositate l’8/7/2022) emessa dalla Corte di Cassazione (V Sezione Penale), la quale, in accoglimento del ricorso presentato dalla difesa di una degli imputati, ha annullato la decisione con cui la Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità concorsuale della ricorrente per bancarotta fraudolenta patrimoniale, reato previsto e punito agli articoli 223, 216, comma 1, n. 1), legge fallimentare, che sanziona, in caso di fallimento di una società, gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e liquidatori che abbiano distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte il patrimonio della fallita.
Il caso. Secondo quanto riportato in sentenza, alla ricorrente, socia al 90% della società Y e al 10% della società fallita X e moglie dell’amministratore unico della società fallita X, nonché amministratore unico e socio al 10% della stessa società Y, era stata addebitata una responsabilità a titolo concorsuale per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per aver contribuito alla distrazione dal patrimonio della fallita di un bene immobile consistente nel capannone ove la stessa aveva la propria sede sociale.
In particolare, secondo l’ipotesi accusatoria, la ricorrente e l’amministratore unico della fallita avrebbero simulato la cessione del capannone dalla società X alla società Y per una determinata cifra, parte della quale sarebbe poi stata fatta rientrare nella disponibilità dello stesso amministratore e successivamente trasferita ad una terza società amministrata dal fratello di quest’ultimo.
Il ricorso della difesa dell’imputata. A fronte della decisione della Corte d’Appello, il difensore dell’imputata ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione, articolato su due motivi. Il primo, finalizzato a contestare la qualificazione, in termini distrattivi, dell’operazione immobiliare di cessione del capannone di proprietà della fallita; il secondo, volto invece a smentire la sussistenza di un apporto concorsuale volontario e causalmente rilevante fornito dalla ricorrente, la cui partecipazione illecita alla compravendita sarebbe stata indebitamente desunta dai giudici di merito dal solo fatto che la stessa, avvocato di professione, ricoprisse anche la duplice qualità di socia e coniuge dell’amministratore della fallita (ruolo peraltro ricoperto anni dopo la contestata operazione, come precisano i giudici della stessa Corte): secondo l’impostazione difensiva, il giudice di merito avrebbe ritagliato, in capo all’imputata, “…il ruolo di ideatrice del presunto piano di spoliazione della società, senza alcun tipo di riscontro, al riguardo, neppure indiziario, e senza che tale contributo fosse stato oggetto di contestazione”.
La ricorrente, si legge sempre nella sentenza in esame, ha censurato la motivazione del provvedimento di condanna anche alla luce di un precedente giurisprudenziale di legittimità (Cass. pen. n. 41333/2006) secondo cui, ai fini della sussistenza del dolo in capo all’extraneus, occorre la conoscenza della situazione della decozione della società da cui il denaro proviene.
La decisione della Suprema Corte. La Cassazione, da una parte, ha confermato la natura prettamente distrattiva dell’operazione immobiliare oggetto di imputazione, affermando che “…il fatto distrattivo risulta sufficientemente delineato nella pronuncia impugnata, la cui ricostruzione non può ritenersi scalfita dalle censure, peraltro prevalentemente reiterative, svolte col primo motivo di ricorso”.
Dall’altra, i giudici di legittimità, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, hanno annullato senza rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello e prosciolto, quindi, la ricorrente per non aver commesso il fatto.
A parere della Suprema Corte, infatti, i giudici di merito, pur avendo ricostruito, in termini esaustivi, i vari segmenti della vicenda distrattiva che aveva visto protagonista l’amministratore della società fallita e marito della ricorrente, non erano stati altrettanto puntuali nel dimostrare il consapevole coinvolgimento di quest’ultima nel fatto di reato commesso dal coimputato.
Più nel dettaglio, la Corte d’Appello, la cui motivazione sul punto è stata ritenuta “inappagante” dalla Cassazione, si è limitata a far discendere la responsabilità concorsuale della ricorrente esclusivamente da determinate qualità personali e professionali di quest’ultima: il fatto che la stessa ricoprisse la qualità di socio in entrambe le società coinvolte nell’operazione immobiliare oggetto di contestazione, il fatto che fosse legata all’amministratore unico della fallita da rapporto di coniugio (circostanza che consentirebbe di affermare che la stessa abbia in qualche modo beneficiato delle somme distratte dal marito) e, infine, il fatto che esercitasse la professione di avvocato e fosse, dunque, astrattamente in grado di offrire un “contributo tecnico” alle contestate dinamiche distrattive.
Nel fare ciò, i giudici di merito hanno, quindi, erroneamente omesso di confrontarsi con i requisiti normativi del concorso di persone nel reato, previsto all’articolo 110 del codice penale, istituto che impone sempre la puntuale dimostrazione tanto dell’efficacia causale, quanto della consapevolezza e volontarietà del contributo offerto dal partecipe rispetto alla commissione del fatto criminoso oggetto di imputazione.
Sotto questo profilo, la Suprema Corte ha ritenuto che gli elementi valorizzati dalla Corte d’Appello (la qualità di socia di entrambe le società coinvolte nella compravendita del capannone, di moglie dell’amministratore unico della fallita, nonché di soggetto esercente la professione forense) non fossero sufficienti a dimostrare il concorso della ricorrente rispetto al progetto distrattivo realizzato dal coimputato, progetto che, in assenza di elementi fattuali di segno contrario, risultava attribuibile unicamente all’organo gestorio della società fallita, esulando, quindi, dalla sfera di controllo di chi, come la ricorrente, non ricopriva alcun concreto ruolo operativo all’interno di quest’ultima.
Il principio |
Cassazione Penale, V Sezione Penale, Sent. n. 26426/2022 |
Non è sufficiente a fondare un giudizio di responsabilità, a titolo di concorso nel delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, l’accertamento di determinate qualità personali e professionali del concorrente (il rapporto di coniugio con l’autore principale delle distrazioni, la professione di avvocato, nonché la qualità di socio all’interno delle società coinvolte nella contestata operazione distrattiva), ma è necessaria la dimostrazione dell’effettivo contributo materiale e psicologico del concorrente rispetto alla commissione del reato oggetto di imputazione. |
Art. 110, c.p. (Pena per coloro che concorrono nel reato) |
“Quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita, salve le disposizioni degli articoli seguenti”. |