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Sfruttamento, scatta la confisca

Avv. Nicola Pietrantoni e Benedetta Falini – (ItaliaOggi, 3 ottobre 2022)

È legittima la confisca, in forma diretta, delle somme di denaro che rappresentano il risparmio di spesa realizzato dagli amministratori della società indagati per il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (art. 603-bis, c.p.).

Il sequestro preventivo ai fini della confisca obbligatoria, infatti, può essere disposto anche nei confronti dei soggetti accusati di aver utilizzato ed impiegato, in concorso tra loro, manodopera di diversi lavoratori, sottoponendoli a condizioni di sfruttamento con approfittamento del loro stato di bisogno.

In questi termini, si è pronunciata la Corte di Cassazione (Quarta Sezione Penale), con la sentenza n. 29328/2022 (motivazioni depositate il 25/7/2022), che ha precisato come le somme di denaro in questione rappresentino direttamente il profitto dell’attività illecita punita ai sensi dell’art. 603-bis, codice penale.

Con il provvedimento sopra citato, la Corte ha richiamato e condiviso alcuni principi già espressi, proprio in sede di legittimità, in materia di reati tributari, ritenendoli applicabili anche ai casi di sfruttamento dei lavoratori. Le Sezioni Unite della Cassazione, infatti, hanno individuato il profitto nel risparmio di spesa della società, ottenuto grazie all’emissione di fatture per operazioni inesistenti ed al mancato versamento di tributi, con lo scopo di aumentare il capitale sociale (Cfr. Cass. Pen., Sezioni Unite, sent. n. 42415 del 27/5/2021).

Proprio in questa prospettiva, i giudici della Corte hanno ritenuto che anche lo sfruttamento del lavoro sarebbe finalizzato ad un incremento di natura patrimoniale, situazione che si realizzerebbe attraverso l’adozione di condotte fraudolente od omissive: ad esempio, non corrispondendo la retribuzione dovuta ai lavoratori per prestazioni di lavoro straordinario, ovvero facendosi restituire da essi parte dello stipendio percepito, loro elargito solo formalmente.

Il caso di specie e le contestazioni. Le condotte contestate agli indagati, si legge sempre nelle motivazioni della sentenza, sarebbero consistite “nella corresponsione ai lavoratori di retribuzioni difformi da quelle previste dai contratti collettivi, in quanto di gran lunga inferiori rispetto al numero di ore di lavoro effettivamente prestate, con imposizione ai lavoratori di restituire parte delle somme dovute, come risultanti dalle buste-paga, nonché di firmare verbali di conciliazione con cui rinunciare a far valere i loro diritti in sede giudiziaria per il lavoro straordinario svolto; nell’aver violato le norme regolanti la disciplina del riposo, concedendo ai lavoratori una pausa pranzo solo di pochi minuti, consentendo ferie annuali retribuite in numero inferiore a quelle previste e richiamando i lavoratori in occasione dell’avanzata richiesta di permessi”.

Per queste ragioni, il Giudice per le Indagini Preliminari, valutata la sussistenza degli indizi di colpevolezza a carico degli amministratori anche alla luce di numerosi riscontri acquisiti nel corso delle indagini (in particolare, delle testimonianze rese dagli stessi lavoratori), aveva disposto il sequestro preventivo delle somme di denaro risultanti proprio dal cd “risparmio di spesa”. Individuata l’evidenza di un accrescimento patrimoniale conseguente alle condotte illecite, il Tribunale ha poi riconosciuto che ad averne usufruito non potesse essere stata direttamente la struttura societaria, in stato di liquidazione e cancellata dal registro delle imprese, ma direttamente le persone indagate, nei cui confronti è stata infatti eseguita la misura del sequestro.

Il Giudice del Riesame ha successivamente rigettato il ricorso degli indagati contro il decreto di sequestro preventivo, “…ritenendo corretto considerare nel profitto del reato, passibile di sequestro a fine di confisca, anche il risparmio di spesa derivato dalla perpetrazione delle condotte illecite, costituendo esso il principale vantaggio derivante dall’attività di sfruttamento dei lavoratori”.

L’impostazione della Suprema Corte. Contro l’ordinanza di rigetto del Tribunale del Riesame, le persone sottoposte alle indagini hanno proposto ricorso per Cassazione, lamentando innanzitutto la violazione del nesso di pertinenzialità tra il reato contestato e i beni sottoposti a sequestro preventivo, in quanto non sarebbero state descritte, secondo l’impostazione difensiva, le ragioni per cui le somme depositate presso i conti correnti bancari degli indagati fossero di provenienza illecita.

Sul punto, la Corte ha rigettato il motivo in questione, precisando, da una parte, che la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta e che rappresenta l’effettivo accrescimento patrimoniale conseguito, deve sempre essere qualificata come diretta, e non per equivalente; in secondo luogo, la Corte ha evidenziato che la natura fungibile del denaro rende del tutto irrilevante stabilire se quello specifico denaro sequestrato sia stato esattamente quello conseguito in conseguenza dell’illecita attività svolta.

In ragione del carattere di fungibilità del bene che, confondendosi nel patrimonio personale del reo, rende impossibile la materiale identificazione delle specifiche somme di denaro pertinenti al reato commesso, i giudici di legittimità hanno ribadito, con specifico riferimento alla fattispecie in contestazione (art. 603-bis, c.p.), che è possibile disporre provvedimenti ablativi senza la necessità di provare il nesso di derivazione (di pertinenza) del denaro sequestrato dal fatto di reato oggetto di accertamento. In questo modo, anche in tema di reati non materialmente accrescitivi del patrimonio individuale ma determinanti un risparmio di spesa, diventa possibile procedere al sequestro o alla confisca, trattandosi di sostanziale accrescimento della ricchezza conseguente alla commissione del reato.

La necessità di motivare il cd “periculum in mora”. La sentenza in esame, oltre ad aver sancito la confiscabilità in forma diretta del profitto (costituito, come abbiamo visto, dal cd “risparmio di spesa”) derivante anche dalle condotte di “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”, ha confermato il principio della necessaria motivazione in punto di “periculum in mora”, già precedentemente enunciato dalla stessa Cassazione (Cfr. Cass. Pen. Sezioni Unite, sent. n. 36959 del 24/6/2021).

Il provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca, infatti, deve contenere le ragioni che rendono necessario anticipare l’effetto ablativo rispetto alla definizione del giudizio e questo deve avvenire tramite l’esposizione dei rischi che potrebbero insorgere lasciando i beni nella disponibilità dell’indagato (ad esempio, il pericolo di sperpero del denaro da parte dello stesso).  Proprio per queste ragioni, la motivazione deve riportare “…l’esplicita specificazione delle ragioni per cui si ritiene che, nelle more del giudizio, la cosa suscettibile di confisca, possa essere modificata, dispersa, deteriorata, utilizzata o alienata, rendendone imprescindibile l’immediata apprensione, stante il rischio che la confisca possa successivamente divenire impraticabile” (Cfr. Sezioni Unite, sent. n. 36969/2021, cit.).

In ultima istanza, quindi, la Corte di Cassazione ha accolto il sesto e ultimo motivo di ricorso, con conseguente rinvio per un nuovo giudizio al Tribunale, sottolineando proprio che “…i giudici del riesame non hanno, in particolare, esplicato le ragioni di sussistenza del periculum in mora, e cioè gli specifici motivi per cui è stato ritenuto che il confiscando bene -peraltro fungibile e non intrinsecamente illecito, trattandosi di una somma di denaro- possa, nelle more della celebrazione del giudizio, essere modificato, disperso, deteriorato, utilizzato od alienato”.

Art. 603-bis, c.p. (“Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”)
Chiunque recluta manodopera allo scopo di destinare al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori.   Chiunque utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l’attività di intermediazione di cui sopra, sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno.
Art. 321, C.p.p. (“Oggetto del sequestro preventivo”)
1. Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari.   2. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca”. (…)