Avv. Nicola Pietrantoni – (ItaliaOggi, 17 ottobre 2022)
I messaggi scritti e audio inviati in una chat, offensivi nei confronti di un membro del gruppo, integrano una diffamazione qualora il destinatario sia assente al momento della ricezione.
Se la persona offesa è invece virtualmente presente e legge il contenuto di quelle comunicazioni, non siamo in presenza di una condotta diffamatoria, bensì di un’ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, la cui fattispecie di reato è stata depenalizzata a seguito del d lgs 15 gennaio 2016, n. 7.
Il principio sopra richiamato è contenuto nella sentenza n. 1635/2022 (motivazioni depositate in data 20/7/2022), con cui la Corte di Cassazione (Quinta Sezione Penale) è tornata a prendere posizione in merito alle differenze tra diffamazione e ingiuria eventualmente realizzate attraverso gli strumenti telematici.
Le contestazioni e l’evoluzione processuale. Il fatto preso in considerazione dalla Suprema Corte riguardava l’invio di numerosi messaggi (scritti e vocali) all’interno di un gruppo whatsapp, da parte di un membro della chat e pesantemente offensivi nei confronti di un altro partecipante del gruppo, il quale aveva poi proposto querela contro il primo.
Il Tribunale, a conclusione del giudizio di primo grado, aveva assolto l’imputato dal delitto di diffamazione con formula piena (“il fatto non sussiste”). La Corte di appello, a seguito dell’impugnazione presentata dal pubblico ministero e dalla parte civile, aveva invece condannato l’imputato, ribaltando così la decisione di prime cure.
Contro la sentenza di secondo grado, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando sostanzialmente come la semplice lettura della chat avrebbe dovuto condurre l’Autorità giudiziaria a considerare penalmente irrilevanti i fatti contestati: più nel dettaglio, come riferiscono le stesse motivazioni della sentenza di legittimità, il ricorrente ha sostenuto che “…data l’immediata replica alle offese a lei rivolte da parte della persona offesa, quest’ultima doveva essere ritenuta presente, con la conseguente configurabilità non già del reato di diffamazione, ma di quello di ingiuria, oggi depenalizzato”.
L’ingiuria e la diffamazione. Il delitto di ingiuria, abrogato nel 2016,prevedeva la pena della reclusione fino a sei mesi o la multa fino a 516 Euro nei confronti di chi offendeva “…l’onore o il decoro di una persona presente” (Cfr. art. 594, codice penale): la medesima disposizione, al comma 4, stabiliva poi un aumento di pena “…qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone”.
La fattispecie di diffamazione, attualmente disciplinata all’art. 595 del codice penale, dispone invece che “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 Euro”. Il comma 3 della stessa norma, inoltre, prevede un aggravamento del trattamento sanzionatorio nel caso di un’offesa “…recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità…”. Per “altro mezzo di pubblicità”, la giurisprudenza ha sempre inteso l’invio di messaggi offensivi attraverso le nuove forme di comunicazione come le email e, più in generale, il sistema di messaggistica che può essere utilizzato attraverso il proprio telefono cellulare o internet (sms, mms, chat, social media, etc.).
Il punto di vista della Cassazione. I giudici di legittimità, per affrontare il caso sottoposto alla loro valutazione, hanno preso come punto di riferimento un’importante pronuncia di legittimità, emessa dalla stessa quinta sezione, sulla natura ingiuriosa o diffamatoria dell’invio di email offensive a più destinatari tra cui anche l’offeso (Cass. pen., V Sezione, sent. n. 13252 del 4/3/2021).
In quel provvedimento, la Corte aveva già schematizzato, nei termini che seguono, le situazioni concrete che possono originare, alternativamente, un addebito di diffamazione o di ingiuria: i) l’offesa diretta a una persona presente integra sempre una ingiuria, anche se sono presenti altre persone; ii) l’offesa diretta a una persona “distante” è una ingiuria solo quando la comunicazione offensiva avviene, esclusivamente, tra l’autore e il destinatario; iii) una comunicazione “a distanza” che viene indirizzata ad altre persone, oltre all’offeso, configura una diffamazione; iv) infine, un’offesa che riguarda una persona assente, comunicata ad almeno due persone (presenti o distanti), integra sempre una condotta diffamatoria.
Il concetto e il significato di presenza virtuale.Come si è visto, la presenza della persona offesa rappresenta il principale criterio distintivo per capire se siamo di fronte alla (abrogata) fattispecie ex art. 594, c.p., oppure a quella ex art. 595, c.p. in attuale vigenza: infatti, se la vittima è presente mentre subisce l’offesa, è configurabile astrattamente un’ingiuria, mentre se questa è assente e l’autore delle offese, comunicando con più persone, ne offende la reputazione, saremo di fronte ad una diffamazione.
Lo schema di cui sopra deve essere applicato anche a quei fatti che si realizzano attraverso i moderni sistemi di comunicazione, con tutte le relative difficoltà correlate proprio alle peculiarità dello strumento telematico, che accanto alla presenza fisica, in unità di tempo e di luogo, dei vari soggetti che intervengono (offeso, autore del fatto e spettatori), innesca situazioni sostanzialmente equiparabili: in particolare, il riferimento è agli attuali sistemi di comunicazione (video o audio conferenze) in cui la presenza del destinatario delle affermazioni offensive può essere solamente “virtuale”.
Tutte queste circostanze, come hanno correttamente puntualizzato i giudici di legittimità, devono essere valutate caso per caso: in particolare, la Cassazione ha evidenziato che “…se l’offesa viene profferita durante una riunione “a distanza” (o “da remoto”), tra più persone contestualmente collegate, alla quale partecipa anche l’offeso, ricorrerà l’ipotesi della ingiuria commessa alla presenza di più persone (fatto depenalizzato)…Di contro, laddove vengano in rilievo comunicazioni (scritte o vocali), indirizzate all’offeso e ad altre persone non contestualmente “presenti” (in accezione estesa alla presenza “virtuale” o “da remoto”), ricorreranno i presupposti della diffamazione, come la giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato quanto, per esempio, all’invio di e-mail”.
Considerati questi presupposti, la Suprema Corte, con la richiamata sentenza n. 1635/2022, ha osservato, innanzitutto, che “… la chat di un gruppo whatsapp consente l’invio contestuale di messaggi a più persone, che possono riceverli immediatamente o in tempi differiti a seconda dell’efficienza del collegamento ad internet del terminale su cui l’applicazione viene da loro utilizzata”.
In tutte queste situazioni, quindi, i destinatari delle comunicazioni possono leggerle in diversi momenti: in alcuni casi, in tempo reale, qualora stiano consultando, proprio in quel momento, quella specifica chat e siano, quindi, in grado di rispondere in tempi immediati. Oppure, come più spesso accade, i membri della chat di gruppo leggono i messaggi a distanza di tempo, circostanza che può verificarsi, come sottolineano gli stessi giudici, “…quando non sono on line ovvero, pur essendo collegati a whatsapp, si trovino impegnati in altra conversazione virtuale e non consultino immediatamente la conversazione nell’ambito della quale il messaggio è stato inviato”.
La soluzione proposta dalla Corte. A questo punto, la Corte ha sottolineato come la percezione della vittima dell’offesa possa essere contestale o differita, “…a seconda che ella stia consultando proprio quella specifica chat di whatsapp o meno”, concludendo che “…nel primo caso, vi sarà ingiuria aggravata dalla presenza di più persone quanti sono i membri della chat perché la persona offesa dovrà ritenersi virtualmente presente”, mentre “nel secondo caso, si avrà diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente”. La verifica circa la presenza virtuale, o meno, della vittima deve essere infine effettuata dal Giudice di merito, attraverso l’analisi del fatto storico emerso nel corso del processo: sul punto, la stessa Corte ha concluso che l’organo giudicante, in particolare, “…dovrà comprendere se la persona offesa abbia percepito in tempo reale l’offesa proveniente dall’autore del fatto, accertamento che, quando non siano disponibili dati tecnici più precisi quanto ai collegamenti della persona offesa con il servizio di messaggistica, potrà passare attraverso la verifica di tempi e modi dell’invio dei messaggi e dell’atteggiamento della vittima quale emerge da precisi indicatori fattuali”.