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Blog, offesa da eliminare subito

Chi amministra spazi online risponde dei messaggi di terzi

NICOLA PIETRANTONI – (ItaliaOggi, 30 gennaio 2023)

Il blogger che non rimuove tempestivamente un messaggio lesivo dell’altrui reputazione potrebbe rispondere, in sede penale, di diffamazione aggravata in concorso con l’autore dello scritto.

In questi casi, infatti, l’amministratore dello spazio online è responsabile anche per i commenti denigratori pubblicati da terzi quando, una volta venuto a conoscenza degli stessi, non provveda subito alla loro cancellazione, atteso che tale condotta equivale alla consapevole condivisione del contenuto offensivo e consente l’ulteriore diffusione dei commenti offensivi.

Il principio è stato ribadito nella Sentenza n. 2386/2022 (motivazioni depositate in data 1/12/2022), con la quale la Corte di cassazione (V Sezione penale) ha rigettato il ricorso di un imputato che era stato condannato, nei due precedenti gradi di giudizio, per il delitto di diffamazione, previsto all’art. 595, comma 3, del codice penale, aggravata in quanto commessa con un “mezzo di pubblicità”.

L’imputazione e il ricorso in Cassazione. A seguito dell’istruttoria dibattimentale, era stato accertato che l’imputato aveva consentito la pubblicazione e la permanenza, sul proprio blog personale, di un commento scritto da un utente non identificato con cui si accusavano alcuni esponenti di una società di essere vicini alla mafia. Sempre dalla lettura della sentenza di legittimità, si apprende che il blogger in questione non solo non aveva rimosso quel commento, ma aveva aggiunto un’annotazione adesiva a quel messaggio.

Il ricorrente, attraverso l’impugnazione della sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello, ha contestato innanzitutto la sussistenza dell’aggravante del reato di diffamazione, in quanto il blog non sarebbe da considerarsi mezzo di informazione e di pubblicità.

L’imputato, inoltre, ha sostenuto che il blogger non ha titolo per ritenere antigiuridico un determinato contenuto, non può disporre in autonomia l’oscuramento, né può chiedere all’autorità competente di rimuovere i commenti eventualmente ritenuti offensivi. In buona sostanza, secondo la prospettiva difensiva del ricorrente, il blog non deve essere considerato una testata giornalistica e non vi sono obblighi di verifica nei confronti del suo titolare con riferimento ai contenuti pubblicati; anzi, all’interno della rete internet, vigerebbe un vero e proprio diritto all’anonimato. Sempre secondo la difesa, quindi, il ruolo del blogger sarebbe stato erroneamente parificato al direttore di un mezzo di stampa o ad un giornalista.

I principi espressi dalla Suprema Corte. I giudici di legittimità hanno rigettato il ricorso presentato dall’imputato sulla base delle seguenti motivazioni: in primo luogo, hanno ritenuto che la condotta contestata all’imputato rientrasse pienamente nella fattispecie di diffamazione aggravata dall’utilizzo del “mezzo di pubblicità” (art. 595, comma 3, c.p.), precisando che “…la Corte di appello ha esattamente inquadrato in fatto la figura dell’amministrazione del blog come soggetto che gestisce un mezzo che consente a terzi di interagire in esso tramite la pubblicazione anche in forma anonima di contenuti, commenti, considerazioni o giudizi e che il blog, pur essendo strumento di informazione non professionale, è idoneo a divulgare quegli stessi contenuti tra un vasto pubblico di utenti, che hanno, per le stesse caratteristiche del mezzo, la possibilità di accedervi liberamente”.

A sostegno di questa impostazione, la Cassazione ha richiamato quell’orientamento ormai consolidato di precedenti che hanno ritenuto di estendere la fattispecie incriminatrice ex art. 595, c.p., anche ai contenuti presenti all’interno dei blog o diffusi con altri strumenti di pubblicità via internet (cfr. Cass. Pen., Sez. V, n. 27675, 7/6/2019; Cass. Pen., Sez. V, n. 13979, 25/1/2021), essendo individuabile la ratio decidendi nella maggior pericolosità e diffusività della condotta in simili ipotesi.

Alcune sentenze hanno poi considerato l’account personale di Facebook come una sorta di “piazza virtuale” aperta al libero confronto, anche se solo tra gli utenti registrati, come nel caso di un forum chiuso (Cass. Pen., Sez. V, n. 8898, 18/1/2021).

Gli strumenti telematici in questione, riferiscono sempre le motivazioni della sentenza n. 2386/2022, “…non godono delle garanzie riservate alla stampa, trattandosi di forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list e social network, come chiarito da Sez. U., n. 31022 del 29/5/2015, Fazzo, rv. 264090, che ha esteso le guarentigie proprie riconosciute alla stampa solo alle testate giornalistiche telematiche”.

L’omessa vigilanza e l’omesso controllo. In merito alla responsabilità penale del gestore del blog nel caso di pubblicazione di contenuti diffamatori da parte di terzi, la Suprema Corte ha ribadito che l’amministratore di un sito internet non è responsabile ai sensi dell’articolo 57, codice penale, (“reati commessi col mezzo della stampa periodica”), per aver omesso di esercitare il necessario controllo sui contenuti pubblicati all’interno del proprio spazio al fine di impedire eventuali conseguenze in termini di diffamazione.

Questa disposizione, infatti, si applica ai soli direttori/vice-direttori responsabili delle testate giornalistiche telematiche, e non ai diversi mezzi informatici di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, social media).

I giudici di legittimità hanno precisato che l’amministratore di un blog non riveste una posizione di garanzia, ai sensi dell’articolo 40, cpv, del codice penale, non essendo dotato “…di poteri giuridici impeditivi di eventi offensivi di beni altrui in assenza di fonti normative che li conferiscano”. La norma sopra citata, infatti, prevede che “non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

La responsabilità diretta o a titolo di concorso (art. 110, c.p.). Alla luce delle premesse sopra evidenziate, il blogger può essere ritenuto responsabile del delitto di diffamazione aggravata sostanzialmente in due casi: innanzitutto, qualora sia l’autore diretto del commento offensivo che è stato pubblicato e diffuso; in seconda battuta, ove sussistano elementi che denotino la sua compartecipazione, a titolo di concorso (art. 110, codice penale), alla condotta diffamatoria posta in essere da altri.

Il riferimento è proprio alle ipotesi in cui il blogger, venuto a conoscenza di scritti offensivi presenti sul proprio spazio online e provenienti da terze persone, non provveda tempestivamente alla loro rimozione. L’omesso intervento del blogger, in questi casi, non solo rappresenta la consapevole condivisione dei contenuti diffamatori dell’altrui reputazione, ma costituisce inevitabilmente anche lo “strumento” per l’ulteriore diffusione degli stessi.

Su questo specifico punto, i giudici della sentenza n. 2386/2022 hanno richiamato e condiviso anche il prevalente orientamento giurisprudenziale della Cedu (in particolare, la pronuncia sul caso Phil/Svezia del 9/3/2017), dal quale “…si è ricavata l’affermazione di esclusione della automatica responsabilità dell’amministratore di un sito per qualsiasi commento scritto da un utente, sempre che, una volta venuto a conoscenza del contenuto diffamatorio del commento, si sia immediatamente ed efficacemente adoperato per rimuoverlo, ricavandone logicamente, con argomentazione a contrario, che il blogger o gestore di sito, può rispondere dei contenuti offensivi pubblicati sul suo mezzo/spazio informatico quando, presa cognizione della lesività dei contenuti, li mantenga consapevolmente”.

Cass. Pen., V Sezione, n. 2386/2022
 Il blogger non è equiparato al direttore/vice-direttore responsabile di una testata giornalistica (non si applicano gli artt. 57 e 40, cpv, codice penale)    Il blogger risponde di diffamazione aggravata (art. 595, III comma, c.p.): 1) se è autore dello scritto offensivo che viene pubblicato e diffuso online; 2) se viene a conoscenza del messaggio diffamatorio pubblicato da terzi sul suo spazio online e non si attiva immediatamente per rimuoverlo.
Art. 595, c.p. (“Diffamazione”)
“Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate”.
Art. 57, c.p. (“Reati commessi col mezzo della stampa periodica”)
“Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati, è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo”.
Art. 40, cpv, c.p.
“Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.