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È ingiuria se c’è botta e risposta

La replica immediata fa da spartiacque sulla diffamazione

Nicola Pietrantoni e Giulia Volontieri (06 marzo 2023, Italia Oggi)

L’orientamento dei giudici di legittimità sulla qualificazione dei commenti offensivi online​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

Se a un commento offensivo ricevuto online, su un social network, per esempio, si può rispondere immediatamente, si tratta di un caso di ingiuria, fattispecie che dal 2016 non è più prevista come reato. Si passa alla diffamazione, invece, se l’offeso non può replicare tempestivamente. Oltre al fattore discriminante della presenza, anche virtuale, per distinguere tra ingiuria e diffamazione è fondamentale, quindi, anche l’elemento della contestualità. Motivo per il quale, per esempio, una piattaforma online di messaggistica istantanea è teatro di ingiurie più facilmente rispetto a un servizio di mailing-list, nel quale si configura più spesso l’ipotesi di diffamazione.

Il principio, di estrema importanza e attualità, considerato l’uso massivo dei social media e di altri strumenti di comunicazione telematica, è stato recentemente affermato nella sentenza n. 3593/2022 (motivazioni depositate il 9 gennaio 2023), con la quale la Cassazione (V sezione penale) ha accolto il ricorso della parte civile contro la sentenza della Corte d’appello che aveva assolto l’imputato dal reato di diffamazione aggravata, ex art. 595, III comma, c.p., dopo aver qualificato il fatto come ingiuria (depenalizzata a seguito del dlgs 15 gennaio 2016, n. 7).

La contestazione e l’iter processuale. L’imputato era stato condannato, in primo grado, per diffamazione aggravata per avere scritto su Facebook, nel contesto di una discussione pubblica, che aveva per oggetto alcuni problemi di viabilità in un determinato comune, un commento che faceva esplicito riferimento a deficit visivi di una persona intervenuta in quel dibattito online; in particolare, l’autore aveva utilizzato espressioni offensive quali “punti di vista, anche storta”, “…mi verrebbe da scrivere la lince, ma ho rispetto per la gente sfortunata…”, con l’aggiunta di emoticon simboleggianti risate.

La Corte d’appello, a seguito dell’impugnazione presentata dall’imputato, una volta riqualificato il fatto come ingiuria, aveva assolto il ricorrente perché “il fatto non costituisce più reato”, sul presupposto che la persona offesa avrebbe avuto la possibilità di replicare immediatamente a quelle espressioni offensive pubblicate. Per queste ragioni, è stata ritenuta insussistente la contestata diffamazione, fattispecie che entra in gioco quando la persona offesa è invece assente e, per questa ragione, non in grado di interloquire e rispondere.

La parte civile ha così impugnato avanti la Cassazione, ai soli effetti civili, la pronuncia assolutoria, lamentando soprattutto come la Corte d’appello avesse trascurato di considerare che i messaggi offensivi, al di là della possibilità o meno di una replica immediata da parte del querelante, avevano raggiunto non soltanto quest’ultimo, ma anche una moltitudine indeterminata di altre persone, con l’inevitabile effetto di ledere la reputazione del destinatario di quei contenuti offensivi.

I principi espressi dalla Cassazione. I giudici di legittimità, in accoglimento del ricorso, hanno innanzitutto rilevato l’incongruenza motivazionale della pronuncia della Corte d’appello, nel punto in cui afferma, da una parte, che “l’imputato ha rivolto gravi offese alla parte civile, denigrandola per un suo deficit visivo” e, immediatamente dopo, che “non vi è stato alcun pregiudizio per la reputazione della stessa in quanto un deficit visivo non diminuisce il valore di una persona”, avendo l’imputato soltanto “messo in cattiva luce se stesso”. Dall’altra, la Cassazione ha richiamato quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui è diffamazione riferirsi a una persona “con un’espressione che, pur richiamando un handicap motorio effettivo, contenga una carica dispregiativa che, per il comune sentire, rappresenti un’aggressione alla reputazione della persona, messa alla berlina per le sue caratteristiche fisiche” (Cass. pen., V sezione, sent. n. 32789 del 13/5/2016). Ed è proprio la correlazione tra la dignità della persona e la sua reputazione a essere venuta meno nel caso di specie, in quanto le espressioni adottate dall’imputato hanno fatto riferimento a una deminutio della persona offesa, che a suo dire, in quanto ipovedente, non avrebbe avuto dignità di interlocuzione analoga a quella degli altri utenti della piattaforma.

L’estraneità della persona offesa rispetto all’interlocuzione offensiva anche alla luce di altre pronunce di legittimità. Il passaggio più interessante della pronuncia in esame, però, riguarda proprio il significato dell’eventuale presenza, ovviamente in termini virtuali, dell’offeso al momento della pubblicazione del messaggio offensivo che lo riguarda. Sul punto, nella sentenza n. 3593/2022, è stato dedicato ampio spazio alle differenze più evidenti che intercorrono tra le due fattispecie in questione, “…ricordando che l’elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell’ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all’offeso, mentre nella diffamazione l’offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l’offensore”.

Nel caso sottoposto alla loro attenzione, i giudici hanno ritenuto che nonostante la persona offesa fosse in grado di replicare alle offese diffuse sulla chat, è altrettanto innegabile che tale possibilità si fosse concretizzata in un momento successivo (e non invece contestuale) alla pubblicazione delle offese su Facebook.

Su questo specifico aspetto, la Corte ha richiamato quell’orientamento giurisprudenziale che ha analizzato proprio le differenze tra ingiuria e diffamazione nel caso di offese divulgate attraverso sistemi di messaggistica anche vocale su piattaforme telematiche (Google Hangouts), evidenziando che soltanto il requisito della contestualità tra comunicazione del messaggio offensivo e recepimento dello stesso da parte dell’offeso configura l’ipotesi dell’ingiuria, come può verificarsi con i messaggi istantanei (Cass. pen., V sezione, sent. n. 10905 del 25/2/2020).

Qualora manchi il requisito della contestualità, elemento che deve sempre essere accertato in relazione alle specificità del caso concreto, l’offeso resta inevitabilmente estraneo alla comunicazione intercorsa con più persone, non essendo in grado di interloquire, in termini tempestivi, con l’autore del messaggio offensivo.

In una recente decisione su un’ipotesi di diffamazione commessa attraverso lo strumento della mailing list, la Corte ha chiarito che “…l’invio di una email dal contenuto offensivo a una pluralità di destinatari integra il reato di diffamazione anche nell’eventualità che tra questi vi sia l’offeso, stante la non contestualità del recepimento del messaggio nelle caselle di posta elettronica di destinazione” (Cass. pen., V sezione, sent. n. 2246 del 14/12/2022).

In questo ultimo caso, l’imputato era stato condannato per aver offeso la reputazione di alcuni esponenti di una banca attraverso l’invio di più email, tramite mailing-list, recanti a oggetto “associazione a delinquere in atto presso banca” e per aver scritto altre frasi offensive come, tra le altre, “il clientelismo che voi rappresentate”, “i giochi puerili di potere che la direzione della nostra banca sta effettuando, coinvolgendo, attraverso la forma del ricatto…”, “le vostre candidature debbono finire”, “fornirò alle autorità competenti le prove delle vostre malefatte”.

Anche in una pronuncia precedente, la n. 1635/2022 (motivazioni depositate il 20/7/2022), la Cassazione (V sezione penale) ha preso posizione in merito alle differenze tra diffamazione e ingiuria eventualmente realizzate attraverso gli strumenti telematici. In tal caso si trattava dell’invio di numerosi messaggi (scritti e vocali) all’interno di un gruppo whatsapp, da parte di un membro della chat e pesantemente offensivi nei confronti di un altro partecipante del gruppo.

Gli Ermellini nell’occasione hanno sottolineato come la percezione della vittima dell’offesa possa essere contestuale o differita, “…a seconda che ella stia consultando proprio quella specifica chat di whatsapp o meno”, concludendo che “…nel primo caso, vi sarà ingiuria aggravata dalla presenza di più persone quanti sono i membri della chat perché la persona offesa dovrà ritenersi virtualmente presente”, mentre “nel secondo caso, si avrà diffamazione, in quanto la vittima dovrà essere considerata assente”. La verifica circa la presenza virtuale, o meno, della vittima deve essere infine effettuata dal giudice di merito, attraverso l’analisi del fatto storico emerso nel corso del processo.

In base al requisito dell’immediatezza con cui l’offeso recepisca il messaggio, necessario affinché possa profilarsi l’ipotesi dell’ingiuria anziché quella della diffamazione, un’altra pronuncia di legittimità, infine, ha ritenuto integrato “…il delitto di diffamazione, e non la fattispecie depenalizzata di ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, nel caso di invio di messaggi contenenti espressioni offensive nei confronti della persona offesa su una chat condivisa anche da altri soggetti, nel caso in cui la prima non li abbia percepiti nell’immediatezza, in quanto non collegata al momento del loro recapito” (Cass. pen., V sezione, sent. n. 28675 del 10/6/2022).

* Studio Legale Associato Isolabella