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Sull’arte la confisca è d’obbligo 

A nulla vale che il reato sia prescritto. Fa eccezione il terzo 

Nicola Pietrantoni (20 marzo 2023, Italia Oggi)

La Suprema corte: la misura non è sanzione ma vuol recuperare beni esportati illegalmente

L’opera d’arte trasferita all’estero senza autorizzazione è sempre confiscata, anche se l’indagato è prosciolto per prescrizione. La confisca, invece, non scatta qualora il bene appartenga a persona estranea al reato che dimostri la propria buona fede.

Il principio è stato recentemente richiamato dalla Corte di cassazione (III Sezione penale), nella sentenza n. 9101/2023 (motivazioni depositate il 3 marzo scorso), intervenuta a pronunciarsi sulla legittimità del provvedimento di confisca del dipinto “Gentiluomo col cappello”, da alcuni esperti attribuito al celebre Tiziano Vecellio.

Le contestazioni e l’iter giudiziario. La Procura della Repubblica di Torino, da quanto emerge dalla lettura delle motivazioni, aveva contestato a due cittadini elvetici che detenevano l’opera dal 2004, il delitto previsto e punito all’art. 174, dlgs 42/2004 (“Uscita o esportazione illecite”), fattispecie abrogata dalla legge n. 22/2022 che ha introdotto il nuovo art. 518-undecies, c.p. (“Uscita o esportazione di beni culturali”).

Il Pubblico Ministero, constatato il periodo trascorso dalla consumazione del reato, ha chiesto al Giudice per le indagini preliminari l’archiviazione del procedimento, in quanto era ormai decorso il termine prescrizionale. Il Giudice ha emesso il provvedimento di archiviazione, ma ha disposto contestualmente la confisca dell’opera d’arte, così come prescriveva l’art. 174, comma 3, dlgs 42/2004.

Gli interessati, a questo punto, hanno contestato la legittimità della misura, ma il giudice dell’esecuzione ha rigettato sia l’istanza di revoca che il successivo atto di opposizione. Gli stessi, infine, hanno rappresentato alla Suprema Corte la loro estraneità rispetto ai fatti contestati, cercando di documentare come l’acquisto del dipinto, da parte loro, fosse avvenuto in buona fede.

Le motivazioni della Cassazione. I giudici di legittimità, con il rigetto del ricorso, hanno innanzitutto ricordato che, salvo le eccezioni previste dalla normativa speciale, “…sui beni culturali vige una presunzione di proprietà pubblica con la conseguenza che essi, sulla base di una oramai ultrasecolare tradizione normativa, appartengono allo Stato italiano in virtù della legge…”.

Per queste ragioni, la confisca obbligatoria prevista all’art. 174, comma 3, dlgs 41/2004, attualmente disciplinata all’art. 518-duodevicies, c.p. (sempre a seguito della riforma del 2022), non avrebbe una finalità sanzionatoria, ma prevalentemente recuperatoria di quei beni usciti illecitamente dai confini nazionali, a prescindere dall’accertamento di una responsabilità penale.

In una precedente pronuncia, la Cassazione aveva già chiarito che la misura in questione, in conformità alle norme della legge doganale, “…viene disposta anche nelle ipotesi di sentenze di proscioglimento o di non punibilità, quindi a prescindere da una sentenza di condanna, come invece sarebbe stato necessario nel caso si fosse richiamato l’articolo 240 codice penale, essendo stata fatta salva solo l’ipotesi che i beni appartengano a persone estranee al reato, quale ad esempio la persona che abbia acquistato in buona fede” (Cass. Pen., Sez. III, sent. n. 19692 del 21/3/2018).

La posizione del c.d. “terzo estraneo”. In merito alla tutela della persona estranea al reato, i giudici di legittimità hanno condiviso un precedente orientamento della medesima Sezione, secondo cui il c.d. “terzo estraneo”, “…in caso di collegamento del proprio diritto con l’altrui reato, ha l’onere di provare il proprio affidamento incolpevole ingenerato da una situazione di apparenza sulla liceità della provenienza del bene che renda scusabile l’ignoranza o il difetto di diligenza” (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 11269 del 10/12/2019).

Secondo questa impostazione, dunque, non può ritenersi estraneo alla commissione del reato “…non solo colui che, con il suo comportamento, anche colposo, abbia dato causa al fatto costituente illecito penale, ma anche colui che abbia tratto consapevole giovamento dalla sua commissione, dovendosi individuare il contenuto di tale giovamento in qualsivoglia condizione di favore, pure non materiale, derivata dal fatto costituente reato” (Cass. pen., Sez. III, sent. n. 22 del 30/11/2018).

Gli elementi emersi nel caso di specie. Nella vicenda che ha riguardato il dipinto “Gentiluomocol cappello”, erano emersi alcuni elementi che la Corte di cassazione ha voluto richiamare a sostegno dell’assenza di buona fede in capo ai ricorrenti: nel 2003, l’opera era stata trasferita in Svizzera senza le necessarie autorizzazioni da parte dell’Ufficio Esportazione italiano; successivamente, la persona che l’aveva esportata, l’ha venduta a uno dei due ricorrenti, il quale lo avrebbe acquistato, con scrittura privata, attraverso un socio occulto (padre del secondo ricorrente, al quale avrebbe poi ceduto la propria quota). L’acquirente, inoltre, aveva acquistato il dipinto come opera di Tiziano, senza però chiedere al venditore tutta la necessaria documentazione riguardante la provenienza dell’opera, nonché quella autorizzativa concernente la circolazione di un’opera così importante; nella scrittura privata, poi, non era indicato il prezzo di vendita. Infine, l’acquirente aveva chiesto, all’Ufficio Esportazione italiano, il rilascio del certificato di avvenuta importazione, attribuendo l’opera alla “scuola veneta” e non a Tiziano.