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L’Aia non funge da paracadute 

L’autorizzazione non estingue il reato né revoca il sequestro 

Nicola Pietrantoni, Martina Magro Malosso (27 marzo 2023, Italia Oggi)

L’intervento degli Ermellini: in caso di inquinamento ambientale si applica il ravvedimento

Il rilascio dell’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale) alla società già sottoposta alle indagini per reati ambientali non estingue le relative contestazioni e non porta alla revoca dell’eventuale sequestro preventivo dell’area industriale.

L’AIA, ai sensi dell’art. 4, dlgs 152/2006 (c.d. “Testo unico dell’ambiente”), ha per oggetto la prevenzione e la riduzione integrate dell’inquinamento proveniente da alcune attività elencate dalla legge e prevede “…misure intese a evitare, ove possibile, o a ridurre le emissioni nell’aria, nell’acqua e nel suolo, comprese le misure relative ai rifiuti, per conseguire un livello elevato di protezione dell’ambiente salve le disposizioni sulla valutazione di impatto ambientale”.

La suddetta autorizzazione, però, non produce alcun effetto estintivo sui reati ambientali già consumati e contestati, ma rappresenta solo la condizione necessaria per poter operare legittimamente e non integrare la fattispecie prevista all’art. 29-quattuordecies, dlgs n. 152/2006, che punisce proprio la condotta di chi esercita una serie di attività senza essere in possesso dell’AIA o dopo che questa sia stata sospesa o revocata.

Questo principio è contenuto nella Sentenza n. 398/2023 (motivazioni depositate il giorno 10/02/2023), con cui la Corte di cassazione (III sezione penale) ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dal legale rappresentante di una società contro l’Ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva rigettato l’istanza di revoca del sequestro preventivo dello stabilimento.

Le contestazioni e l’oggetto del ricorso. Alla persona sottoposta alle indagini preliminari, legale rappresentante della società coinvolta nell’indagine, erano stati contestati i reati ex art. 452-bis, Codice penale (“Inquinamento ambientale”) e art. 256-bis, dlgs 152/2006 (“Combustione illecita di rifiuti”) e il Pubblico Ministero aveva chiesto e ottenuto il sequestro preventivo dell’area industriale.

Per quanto riguarda le contestazioni, l’art. 452-bis, c.p. punisce, con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000, quelle attività che compromettono o deteriorano, in termini significativi e misurabili, le acque, l’aria, il suolo, il sottosuolo, gli ecosistemi, la biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. L’art. 256-bis, dlgs 152/2006, invece, sanziona le attività di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti pericolosi e non pericolosi realizzate in mancanza delle prescritte autorizzazioni.

La difesa dell’indagato, con il proprio ricorso in Cassazione, ha contestato il sequestro, soprattutto in tema di sussistenza del c.d. “fumus boni iuris”, valorizzando il fatto che l’attivazione del procedimento amministrativo (ex art. 29, dlgs 152/2006), finalizzato proprio all’ottenimento dell’AIA, aveva portato alla riduzione, sotto i limiti previsti dal dlgs 152/2006, degli agenti inquinanti con riferimento alle emissioni in atmosfera e allo scarico delle acque.

In particolare, sempre secondo la prospettiva del ricorrente, il conferimento dell’incarico ad una ditta specializzata e la nomina del tecnico responsabile per la normativa ambientale, avrebbero documentato, al Tribunale del Riesame, l’eliminazione di ogni attività inquinante.

La decisione della Cassazione. I giudici della Corte hanno dichiarato l’infondatezza dei motivi di ricorso, non rilevando alcun vizio di legittimità nei provvedimenti di rigetto emessi, in un primo momento, dal Giudice per le indagini preliminari e, successivamente, dal Tribunale del Riesame.

Più nel dettaglio, si legge nelle motivazioni della Sentenza n. 398/2023, la Cassazione ha evidenziato come il ricorso fosse basato su “…un presupposto del tutto errato in diritto: quello per cui la mera effettuazione del programma necessario all’ottenimento dell’autorizzazione integrata ambientale Decreto Legislativo n. 152 del 2006, ex articolo 29-bis, determinerebbe l’estinzione dei reati e la sopravvenuta insussistenza del fumus boni iuris, con conseguente necessità di revoca del sequestro preventivo”.

Secondo l’impostazione della Cassazione, il rilascio dell’AIA non produce, invece, alcun effetto sulle condotte delittuose già eventualmente commesse e sottoposte ad accertamento in sede penale.

Il nostro Ordinamento, in merito alla fattispecie di inquinamento ambientale, già prevede il cosiddetto “ravvedimento operoso”, ex art. 452-decies, comma 1, c.p., a norma del quale le pene stabilite per questo reato sono diminuite “…dalla metà a due terzi nei confronti di colui che si adopera per evitare che l’attività delittuosa venga portata a conseguenze ulteriori, ovvero, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, provvede concretamente alla messa in sicurezza, alla bonifica e, ove possibile, al ripristino dello stato dei luoghi, e diminuite da un terzo alla metà nei confronti di colui che aiuta concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione degli autori o nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti”. Inoltre, la stessa Cassazione ha ricordato anche il disposto dell’art. 452-undecies, c.p., che stabilisce, proprio in questi casi, la non applicabilità della confisca quando sono state realizzate la messa in sicurezza e, ove necessarie, effettuate la bonifica e il ripristino dello stato dei luoghi.

In definitiva, sempre secondo la Cassazione, l’AIA rappresenta esclusivamente la condizione necessaria per operare legittimamente e per non commettere il reato contravvenzionale, punito con la pena dell’arresto fino a un anno o con l’ammenda da 2.500 euro a 26.000 euro, di cui all’art. 29-quattuordecies, dlgs n. 152/2006.  

Il principio della Sentenza n. 398/2023 (III Sezione Penale)
Il rilascio della Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA): – non estingue i reati ambientali già commessi e oggetto di contestazione; – non porta alla revoca dell’eventuale sequestro preventivo dell’area industriale.  
Art. 452-bis, I comma, c.p.p. (“Inquinamento ambientale”)
“È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna”. (…)
Art. 256-bis, I comma, d lgs 152/2006 (“Combustione illecita di rifiuti”)
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni. Nel caso in cui sia appiccato il fuoco a rifiuti pericolosi, si applica la pena della reclusione da tre a sei anni. Il responsabile è tenuto al ripristino dello stato dei luoghi, al risarcimento del danno ambientale e al pagamento, anche in via di regresso, delle spese per la bonifica” (…)