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Il patteggiamento è senza spese  

La nomina di un commissario non impedisce il rito speciale

Avv. Nicola Pietrantoni – (ItaliaOggi, 19 dicembre 2022)

Il patteggiamento dell’ente, ex dlgs 231/2001, non comporta la condanna al pagamento delle spese processuali e può essere ottenuto anche se viene disposto il commissariamento in sostituzione della sanzione interdittiva: la nomina del commissario, infatti, non rientra tra le sanzioni amministrative applicabili all’ente, ma rappresenta una misura del tutto diversa, per natura e funzioni, addirittura alternativa rispetto a quelle, poiché orientata a evitarne alcuni effetti collaterali. Non solo. L’ente, ossia la persona giuridica, può accedere al patteggiamento a prescindere dalla scelta processuale dell’imputato persona fisica. Sono alcuni dei principi contenuti nella sentenza n. 40563/2022 della Corte di cassazione (VI sezione penale).

Il caso. Con la sentenza n. 40563/2022 (motivazioni depositate il 28/10/2022), la Suprema corte ha accolto il ricorso presentato dai difensori di una società, imputata ex art. 25, dlgs 231/2001, cui era stata applicata, su richiesta delle parti, la sanzione pecuniaria di 75 mila euro, oltre all’interdizione per sei mesi dall’esercizio dell’attività, quest’ultima sostituita con la nomina di un commissario. L’art. 15, dlgs 231/2001, infatti, consente al giudice, ove ricorrano determinate condizioni e sussistano i presupposti per l’applicazione di una sanzione interdittiva che determina, cioè, l’interruzione dell’attività dell’ente, di disporre la prosecuzione della stessa da parte di un commissario per un periodo pari alla durata della pena interdittiva stessa.

In quello stesso procedimento, poi, anche la persona fisica coinvolta in sede penale aveva definito la propria posizione con un patteggiamento per i delitti di corruzione in atti giudiziari, falsa perizia e turbata libertà degli incanti, in continuazione tra loro, con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, del vizio parziale di mente e con l’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

La condanna al pagamento delle spese processuali. Il giudice, con la sentenza di patteggiamento, aveva anche condannato sia l’ente sia la persona fisica al pagamento delle spese del procedimento.

Entrambe le difese hanno presentato ricorso per Cassazione contro la suddetta decisione e lamentato, con uno specifico motivo, anche la condanna alle spese processuali; la difesa dell’ente, su questo specifico punto, ha sostenuto che la sanzione pecuniaria applicata alla società, ragguagliata ai sensi dell’art. 135, codice penale (“Ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive”), non comporta la condanna alle spese processuali, dal momento che la pena inflitta è inferiore ai due anni: infatti, l’art. 445, comma 1, c.p.p., stabilisce, in via generale, che la sentenza di patteggiamento, “…quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l’applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall’articolo 240 del codice penale”.

La decisione della Cassazione. I giudici di legittimità hanno accolto il ricorso, con conseguente annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, proprio nella parte relativa alla condanna dell’ente al pagamento delle spese del procedimento.

La Suprema corte, nel proprio percorso motivazionale, ha voluto innanzitutto richiamare la norma di riferimento che stabilisce quando l’ente, indagato o imputato ai sensi del dlgs 231/2001, può accedere al rito speciale in questione. Si tratta dell’art. 63, comma 1, dlgs 231/2001, secondo cui “…l’applicazione all’ente della sanzione su richiesta è ammessa se il giudizio nei confronti dell’imputato è definito ovvero definibile a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale nonché in tutti i casi in cui per l’illecito amministrativo è prevista la sola sanzione pecuniaria”.

Alla luce di questa disposizione, la persona giuridica può definire la propria posizione con il patteggiamento nelle seguenti ipotesi: in primo luogo, quando anche la persona fisica coinvolta in sede penale chieda e ottenga il patteggiamento; in secondo luogo, se il procedimento nei confronti della persona fisica sia normativamente suscettibile di essere definito con il rito speciale in esame, ma non vi sia accordo tra le parti (indagato/imputato e pubblico ministero); infine, indipendentemente dalle scelte dell’imputato persona fisica e dall’esito del giudizio nei suoi confronti, l’ente può ottenere l’applicazione della pena qualora l’illecito amministrativo da reato a esso contestato sia punibile con la sola sanzione pecuniaria, e non anche con una delle sanzioni interdittive previste ex art. 9, comma 2, dlgs 231/2001.

In altre parole, l’ente può patteggiare anche se la persona fisica dovesse scegliere una strada processuale diversa (per esempio, il giudizio ordinario): gli stessi giudici di legittimità, su questo specifico profilo, hanno ribadito il concetto secondo cui “…un pedissequo ripiegamento della disciplina del rito applicabile all’ente su quella prevista per la persona fisica non sarebbe logicamente coerente…”, in quanto creerebbe un’irragionevole disparità di trattamento tra situazioni analoghe.

Analoga disparità, sempre secondo la Cassazione, viene a realizzarsi proprio con riferimento al tema delle spese processuali: in caso di applicazione “patteggiata” di una pena (solo) pecuniaria, infatti, mentre la persona fisica è sempre esente dal pagamento delle spese (ex art. 445, comma 1, c.p.p.), la persona giuridica sarebbe invece tenuta al pagamento, quanto meno a seguito del ragguaglio ai sensi dell’art. 135, c.p., qualora la sanzione superasse i due anni di pena detentiva.

Sul punto, la Corte ha rilevato che non ha alcun rilievo il fatto che “…per la persona fisica, si tratterebbe di una ‘pena’ pecuniaria, mentre, per l’ente, di una ‘sanzione’ di tal genere”, dal momento che trattasi di “…strumenti sanzionatori del tutto simili tra loro e di una diversità di denominazione imposta non da differenze ontologiche tra gli stessi, bensì soltanto dalla natura della responsabilità da reato degli enti, ‘amministrativa’ soltanto nel nome ma, nella sostanza, in tutto assimilabile a quella penale”.

Per queste ragioni, nelle motivazioni della sentenza n. 40563/2022, la Corte ha richiamato e condiviso il principio già affermato dalla III sezione, secondo cui “…la sentenza di applicazione della sanzione pecuniaria su richiesta dell’ente, ai sensi del decreto legislativo n. 231 del 2001 articolo 63, non comporta la condanna dell’ente medesimo al pagamento delle spese processuali” (cfr. Cass. pen., III sezione, n. 30610/2022).

La nomina del commissario. Non conduce a soluzioni diverse, inoltre, il fatto che il giudice che aveva disposto il patteggiamento nei confronti della società avesse ravvisato i presupposti per l’applicazione, proprio nei confronti dell’ente, anche di una sanzione interdittiva, poi sostituita con la nomina di un commissario. I giudici, infatti, hanno evidenziato che “…la nomina di un commissario rappresenta lo strumento specificamente previsto dal legislatore per la ‘prosecuzione dell’attività dell’ente’ e ‘in luogo dell’applicazione della sanzione’ interdittiva, che impedirebbe tale prosecuzione e, comunque, ne limiterebbe significativamente l’ambito operativo”.

Alla luce di quanto sopra, lo strumento del commissariamento non può essere collocato tra le sanzioni amministrative applicabili all’ente ex art. 9, dlgs 231/2001 (sanzione pecuniaria, sanzioni interdittive, confisca e pubblicazione della sentenza), identificandosi, invece, come misura sostitutiva delle sanzioni interdittive, finalizzata a evitare, come si legge in un’altra pronuncia della Cassazione, “…che l’accertata responsabilità dell’ente si risolva in un pregiudizio per la collettività ogni qual volta la sanzione inflitta dal giudice incida sul servizio pubblico dell’ente, provocandone l’interruzione, ovvero (…) provochi rilevanti ripercussioni sull’occupazione” (Cass. pen., VI Sezione, n. 43108/2011).

In definitiva, nel caso oggetto della sentenza n. 40563/2022, l’ente è stato esonerato dal pagamento delle spese giudiziali, avendo ottenuto l’applicazione della sola sanzione pecuniaria, senza alcuna applicazione di sanzioni interdittive, in quanto il commissariamento disposto dal giudice non rientra nella categoria delle sanzioni amministrative.

* Studio legale associato Isolabella