La sentenza di patteggiamento non è più causa di esclusione automatica da una gara pubblica, secondo il nuovo codice degli appalti, in linea con le novità introdotte dalla c.d. riforma Cartabia sull’istituto disciplinato agli artt. 444 e seguenti, c.p.p..
Gli avvocati Nicola Pietrantoni e Benedetta Falini dello Studio Isolabella, su richiesta dell’organizzazione non profit The Good Lobby, hanno spiegato le ragioni tecniche sottese all’intervento normativo e illustrato gli strumenti a disposizione della Pubblica Amministrazione per garantire la piena fisiologia delle gare.
di The Good Lobby
Sì, ma a patto che vengano superati una serie di filtri e valutazioni. L’intervista con gli avvocati Nicola Pietrantoni e Benedetta Falini.
Il primo luglio sarà operativo il nuovo Codice degli Appalti che introduce una serie di novità, molte delle quali con il dichiarato obiettivo di semplificare le procedure di assegnazione.
Tra le varie cose, nella nuova versione sono state riviste le cause di esclusione da una gara di appalto, anche attraverso una maggiore tipizzazione delle fattispecie di reato. In particolare, per alcuni reati, un soggetto potrà venire escluso solo in seguito a condanna definitiva, condanna di primo grado o in presenza di misure cautelari.
Invece, la sentenza di patteggiamento non impedirà più la partecipazione a una gara pubblica secondo l’art. 94 del nuovo Codice, in linea con le novità introdotte dalla riforma Cartabia per questa tipologia di istituto giuridico.
Abbiamo raggiunto gli avvocati Benedetta Falini e Nicola Pietrantoni dello Studio Isolabella per capire come dobbiamo prendere questa notizia.
È vero che il nuovo Codice degli Appalti permetterà a chi ha patteggiato di poter partecipare alle gare d’appalto (ed eventualmente vincerle)?
È corretto: con il Nuovo Codice una persona fisica o giuridica, destinataria di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, ovvero un patteggiamento, può chiedere e ottenere dalla Pa l’assegnazione di un appalto. Nella precedente disciplina in materia, il patteggiamento, in relazione a determinati reati, era invece considerato motivo di esclusione, al pari di un vero e proprio provvedimento di condanna (cfr. art. 80, d. lgs. 18/4/2016, n. 50).
Tuttavia nel nuovo Codice rimangono ancora automaticamente esclusi coloro che hanno subìto una misura di prevenzione antimafia, oppure la condanna –con sentenza definitiva o con decreto penale irrevocabile – per alcuni delitti consumati o tentati, tra i quali l’associazione per delinquere anche di stampo mafioso, i delitti in materia di stupefacenti, alcuni reati contro la Pa (concussione, corruzione, induzione indebita, traffico di influenze illecite, turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture), la corruzione tra privati, le false comunicazioni sociali, i delitti con finalità di terrorismo, la ricettazione, il riciclaggio, nonché ogni altro delitto da cui derivi, quale pena accessoria l’incapacità di contrattare con la Pa.
Ma quali sono le ragioni tecniche che hanno portato a questa diversa valutazione del patteggiamento?
Per rispondere alla domanda è necessario segnalare, innanzitutto, che l’istituto in questione è stato recentemente modificato dalla legge 27/9/2021, n. 134 (c.d. riforma Cartabia), intervenuta, in modo significativo, sull’impianto di alcuni riti speciali – in particolare, proprio il patteggiamento e il giudizio abbreviato, ancora troppo poco utilizzati nel nostro ordinamento – per rispettare l’obiettivo posto dal PNRR di ridurre del 25% i tempi del giudizio penale, condizione da raggiungere per non restituire i fondi Ue. In questa prospettiva, il legislatore ha eliminato alcuni effetti negativi (c.d. extra penali) conseguenti al patteggiamento, per rendere il rito più “attrattivo” per gli indagati/imputati e contenere, così, il numero dei giudizi dibattimentali, talvolta lunghi e complessi. Il nuovo art. 445, comma 1-bis, c.p.p., prevede, infatti, che la sentenza di patteggiamento “…non ha efficacia e non può essere utilizzata ai fini di prova nei giudizi civili, disciplinari, tributari o amministrativi, compreso il giudizio per l’accertamento della responsabilità contabile” e che “…se non sono applicate pene accessorie, non producono effetti le disposizioni di leggi diverse da quelle penali che equiparano la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, alla sentenza di condanna”. In questo scenario, quindi, l’indagato/imputato interessato a instaurare o mantenere rapporti contrattuali con la Pa, è certamente più incentivato a definire la propria posizione con il patteggiamento – rinunciando, così, all’istruttoria dibattimentale – anche perché non gli è preclusa la futura partecipazione a procedure d’appalto in ambito pubblico.
Il nuovo Codice degli Appalti, in buona sostanza, ha assorbito l’impostazione della riforma Cartabia, quest’ultima finalizzata, come si è accennato, a rendere meno penalizzante questo rito speciale.
E quali sono i rischi che si corrono nell’aprire le gare anche a chi è ricorso al patteggiamento? Come si fa a preferire un soggetto che ha patteggiato – magari proprio per un reato contro la Pa – rispetto a un candidato incensurato?
Al di là di ogni suggestione – fondata o meno che sia – la risposta a questa obiezione non può prescindere da alcuni aspetti tecnici. Innanzitutto, non tutti i reati si possono “patteggiare”; inoltre, alcuni delitti particolarmente gravi e il profilo del soggetto interessato (nel caso questi sia delinquente abituale, professionale, per tendenza o recidivo) non consentono di accedere a questo rito speciale se non a condizioni molto stringenti. Per altre categorie di reati (ad esempio, per i reati tributari), poi, il patteggiamento è subordinato a condotte restitutorie o risarcitorie da parte degli indagati/imputati. In altre parole, è la stessa Legge a creare un primo filtro sulla gravità dei fatti che possono essere definiti con una sentenza ex art. 444, c.p.p. In secondo luogo, ove il reato lo consenta, l’eventuale richiesta di patteggiamento deve essere corredata dal consenso del Pubblico Ministero che ha svolto le indagini (e che conosce molto bene, quindi, tutti gli elementi che sostengono l’accusa); il PM, infatti, valuta la tenuta tecnica e sostanziale della richiesta ex art. 444 c.p.p., anche sulla base del comportamento tenuto dall’indagato/imputato prima e/o dopo i fatti contestati (ad esempio, valorizzando elementi quali l’ammissione degli addebiti, la collaborazione nelle indagini preliminari, il risarcimento dei danni, etc.).
Quindi la valutazione del PM funziona come una sorta di secondo filtro che blocca tutte quelle richieste non meritevoli di consenso?
Esattamente e non è finita qui: la richiesta di patteggiamento, accompagnata dal consenso del PM, deve essere accolta dal Giudice: quest’ultimo, ove ritenga la pena finale non congrua rispetto alle condotte in contestazione o alla personalità dell’indagato/imputato, può rigettare l’istanza e procedere con il rito ordinario. Il vaglio finale del Giudice rappresenta un ulteriore filtro, superato il quale si può sostenere che la sentenza che ha applicato la pena richiesta dalle parti abbia tenuto conto di tutti gli elementi del caso concreto, con una prognosi anche sulla futura astensione o commissione di nuovi reati, eventualità, quest’ultima, che determinerebbe l’immediata revoca di alcuni benefici.
Questo significa che il patteggiamento ha un valore differente rispetto a un vero e proprio giudizio di condanna nel merito, intervenuto alla fine di un processo normale o abbreviato?
Proprio così. Ed è per questo che il legislatore ha ritenuto eccessivamente penalizzante l’esclusione automatica, dalla partecipazione a una procedura d’appalto, dell’operatore economico che ha patteggiato. In ogni caso, anche il nuovo Codice degli Appalti assegna alla stazione appaltante alcuni strumenti utili che consentono di valutare, nelle singole ipotesi, l’affidabilità o meno dell’interessato in relazione a ogni singola gara d’appalto: l’art. 95, infatti, prevede, tra le “cause di esclusione non automatica” dalla partecipazione alla procedura, anche la presenza di un “illecito professionale grave” commesso dall’operatore economico, “…tale da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”.
Quali sono nello specifico le condotte che connotano negativamente l’operatività e, dunque, la stessa affidabilità del soggetto interessato all’appalto?
Ad esempio, sempre secondo la legge, possono essere esclusi quelli che hanno già tentato di influenzare indebitamente il processo decisionale della stazione appaltante, o di ottenere informazioni riservate; quelli che hanno dimostrato significative e persistenti carenze nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto, o che hanno commesso un grave inadempimento nei confronti di uno o più subappaltatori. Tra le condotte penalmente rilevanti, invece, rileva il fatto di essere indagato o imputato per gli stessi reati che porterebbero all’esclusione automatica in caso di condanna irrevocabile (art. 94, comma 1, d. lgs. 31/3/2023, n. 36), oppure la condanna non definitiva per alcuni reati quali l’esercizio abusivo della professione, la bancarotta fraudolenta o semplice, la frode nell’esercizio del commercio, i reati tributari, societari e urbanistici.
In conclusione, l’adeguamento del nuovo Codice degli Appalti alle novità introdotte dalla riforma Cartabia non deve destare eccessiva preoccupazione; non solo perché il patteggiamento viene concesso, come si è visto, all’esito di diversi filtri (Legge, PM e Giudice), ma anche perché, in ogni caso, restano in capo alla stazione appaltante ulteriori criteri valutativi.