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E-mail sgradite? È una molestia

 A rilevare è l’intrusione nella sfera privata dei destinatari

L’evoluzione giurisprudenziale di legittimità sull’invasività dei mezzi di comunicazione

di Nicola Pietrantoni (ItaliaOggi, 11 settembre 2023)

Inviando e-mail sgradite e offensive è possibile causare molestia o disturbo alle persone? Sì: il reato, punito dall’articolo 660 del codice penale e che prevede l’arresto (fino a sei mesi) o l’ammenda (fino a 516 euro), non si realizza solo attraverso telefonate o messaggi telefonici. Al telefono, infatti, vanno equiparati altri mezzi di comunicazione, come la posta elettronica, capaci di concretizzare molestie o disturbo, per petulanza o per altro biasimevole motivo, ossia una diretta e non gradita intrusione del mittente nella sfera privata del destinatario. A stabilirlo è la sentenza n. 34171/2023 (motivazioni depositate il 3/8/2023), con la quale la Corte di cassazione (I sezione penale) è tornata sul tema dell’idoneità o meno delle e-mail a integrare la contravvenzione ex art. 660, c.p..

Il caso. L’imputato era stato condannato, nel giudizio di merito, alla pena dell’ammenda (600 euro) per il reato di molestie o disturbo alle persone, per aver inviato un centinaio di e-mail ingiuriose a un agente della polizia municipale, imputandogli una colpevole inerzia in relazione a continui rumori notturni che l’imputato stesso lamentava provenissero dalla strada adiacente alla propria abitazione. Le e-mail incriminate, inoltre, erano state inviate all’indirizzo di posta elettronica istituzionale dell’agente di polizia; la persona offesa si era così trovata costretta ad aprirle e leggerle, anche attraverso il cellulare di servizio.

Il ricorso per Cassazione. La difesa, con il proprio atto di impugnazione, ha dedotto sostanzialmente due motivi: da un lato, in merito all’elemento oggettivo della fattispecie, ha sostenuto che il reato de quo non può integrarsi con l’invio di messaggi di posta elettronica, dal momento che il modello punitivo richiederebbe “…un quid pluris, rispetto a detto invio, rappresentato da un altro elemento fattuale, costituito da un segnale acustico o visivo, la cui percezione possa incidere negativamente sulla tranquillità del destinatario”; dall’altra, il ricorrente ha lamentato la carenza di prova circa la consapevolezza della lettura delle e-mail da parte della persona offesa. Secondo la prospettiva defensionale, sarebbe infatti mancata qualsiasi forma di interazione tra il mittente e il destinatario delle e-mail, proprio a causa dell’adozione dello strumento della posta elettronica.

I diversi orientamenti. I giudici della Suprema corte, con la sentenza n. 34171/2023, hanno colto l’occasione di ripercorrere, in sintesi, l’evoluzione giurisprudenziale di legittimità formatasi proprio sui requisiti necessari a configurare il reato ex art. 660, c.p., con particolare riferimento all’utilizzo delle e-mail.

Secondo una prima impostazione, rigorosamente ancorata al tenore letterale della norma, non integra il reato di molestia o disturbo alla persona, “col mezzo del telefono”, l’invio di un messaggio, anche ripetuto più volte, di posta elettronica che provochi turbamento o fastidio nel destinatario (Cass. pen., sez. I, sent. n. 24510/2010, D’Alessandro).

Si è poi sostenuto che le molestie devono comprendere anche quelle indirizzate attraverso altri analoghi mezzi di comunicazione, quali, per esempio, il citofono, considerato mezzo equipollente di trasmissione vocale a distanza.

Un ulteriore sviluppo ha valorizzato tutti gli strumenti diffusivi idonei alla trasmissione di voci e suoni, che abbiano un connotato di invasività tale da impedire la possibilità, in capo al destinatario, di evitare l’interlocuzione molesta: su questa linea, si è quindi affermato che “ai fini della configurabilità del reato di molestia o disturbo alla persona, al mezzo del telefono deve equipararsi qualsiasi mezzo di trasmissione, tramite rete telefonica e rete cellulare delle bande di frequenza, di voci e suoni imposti al destinatario senza alcuna possibilità di sottrarsi all’immediata interazione con il mittente, se non dismettendo l’uso del telefono. In questo ultimo caso, la Corte aveva escluso la sussistenza del carattere intrusivo in relazione all’invio di numerose e-mail a mezzo computer, “…atteso che i destinatari, in assenza di qualsivoglia modalità di avviso, circa l’arrivo di tali comunicazioni, avevano conservato la possibilità di leggere gli stessi, solo allorquando si fossero determinati a consultare la casella di posta elettronica” (Cass. pen., sez. I, sent. n. 36779/2011, Ballarino).

Più recentemente, la Cassazione ha sostenuto che rileva “…il carattere invasivo del mezzo impiegato per raggiungere il destinatario, e non la possibilità per quest’ultimo di interrompere o prevenire l’azione perturbatrice, escludendo o bloccando il contatto o l’utenza non gradita”, con la conseguenza che “…costituisce molestia anche l’invio di messaggi telematici, siano essi di testo (sms) o messaggi whatsapp” (Cass. pen, sez. I, sent. n. 37974/2021, D’Antoni).

Il bene giuridico. I giudici della sentenza n. 34171/2023, dopo aver sintetizzato l’evoluzione giurisprudenziale su questa materia, hanno precisato che il bene giuridico protetto dall’art. 660, c.p. è l’ordine pubblico, “…inquadrato sul peculiare versante della pubblica tranquillità” o, in altre parole, “…della salvaguardia del bene della civile convivenza”. Fatta questa premessa, la Cassazione ha voluto definire i concetti di molestia (“ogni agire che sia atto a incidere, provocando fastidio, sul normale equilibrio psichico della vittima”) e disturbo (“indebite interferenze sulle normali condizioni di vita del destinatario”); molestia o disturbo devono, poi, essere arrecati per petulanza (“condotta che possa essere qualificata tracotante, arrogante e caparbiamente invasiva”) o altro biasimevole motivo (“il motivo biasimevole ricorre laddove la condotta appaia intimamente riprovevole, in quanto magari strumentale al dileggio del destinatario, in correlazione a qualità o condizioni personali di quest’ultimo”).

La decisione. Alla luce degli orientamenti e dei principi sopra citati, la Cassazione ha sostenuto, in primo luogo, che “ciò che davvero rileva, ai fini della possibilità di ritenere integrato il modello legale in esame, è quindi l’idoneità della comunicazione a introdursi nella sfera personale del destinatario”.

In altre parole, non è necessaria la presenza di un segnale, acustico o visivo, che annunci l’arrivo dei messaggi; con riferimento alle e-mail, per esempio, il destinatario subisce ugualmente un’invasione indebita nella propria sfera anche quando accede, in un secondo momento, alla casella di posta elettronica contenente comunicazioni moleste.

In conclusione, i giudici di legittimità hanno ritenuto che “…la linea di demarcazione, connotante la condotta punita, debba incentrarsi non sul mezzo o sulla modalità comunicativa, bensì sulla specifica attitudine intrusiva”; con l’importante aggiunta che “…le comunicazioni di posta elettronica vengono ordinariamente ricevute e inviate, addirittura quasi in maniera prevalente, attraverso gli apparecchi telefonici, per cui non ha davvero più alcun senso porre distinzioni (incongrue e anacronistiche) incentrate sulla asserita non conformità dello strumento della posta telefonica al dettato normativo, che postula l’invio della comunicazione sgradita col mezzo del telefono”. Nel caso di specie, è stato valorizzato, in chiave di rigetto del ricorso, il fatto che le e-mail incriminate fossero state inviate all’indirizzo istituzionale della persona offesa, situazione che obbligava quest’ultima, in un certo senso, ad aprirle e leggerne il contenuto offensivo.