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Corruzione, un reato bilaterale

Non basta pagare il funzionario: occorre innescare l’illecito 

Gli Ermellini precisano con quali condotte si può configurare la fattispecie della istigazione

Non è reato offrire denaro a un pubblico ufficiale solamente per avere informazioni in merito allo svolgimento di un concorso: in questo caso, infatti, non si configura il delitto di istigazione alla corruzione, previsto e disciplinato all’art. 322 del Codice penale, poiché non vi è alcuna interferenza con l’attività tipica esercitata dal pubblico funzionario.

Il reato in esame si integra, invece, quando l’offerta o la promessa di denaro o di altra utilità è correlata all’esercizio delle funzioni o dei poteri o all’omissione o al ritardo di un atto dell’ufficio o al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio del soggetto qualificato.

Questo principio è contenuto nella recente sentenza n. 14014/2024 (motivazioni depositate il giorno 5/4/2024), con cui la Corte di cassazione (Sezione VI Penale) ha accolto il ricorso presentato da una signora che era stata condannata, anche in sede di appello, proprio per il delitto di istigazione alla corruzione.

Il fatto contestato.  Dalla lettura delle motivazioni, emerge chela ricorrente era statariconosciuta colpevole del reato ex art. 322, c.p., per aver offerto una somma di denaro (2000 euro) a un pubblico ufficiale, responsabile di unità organizzativa presso un ente pubblico, “…per indurlo a compiere un atto contrario ai doveri di ufficio, in particolare intromettersi nella procedura di selezione degli avvocati esterni all’ente, cui aveva partecipato la figlia dell’imputata”. Più nel dettaglio, secondo l’accusa, quest’ultima aveva “…consegnato al funzionario pubblico una busta contenente un profumo, busta che, una volta aperta, era risultata contenere la somma di euro 2.000,00”. Il funzionario, accortosi della presenza dei contanti, aveva immediatamente avvisato il suo superiore e presentato, lo stesso giorno, dai carabinieri una denuncia nei confronti della signora.

Il ricorso in cassazione. L’imputata ha presentato ricorso e ha contestato innanzitutto la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per la configurabilità del reato. Secondo la difesa della ricorrente, infatti, la signora avrebbe chiesto al proprio interlocutore informazioni del tutto generiche sull’andamento del concorso. Inoltre, il giudice di merito non avrebbe erroneamente valorizzato una serie di elementi che deporrebbero in senso favorevole all’imputata: ad esempio, un messaggio che questa aveva inviato al pubblico ufficiale, successivamente alla pubblicazione della graduatoria, non contenente alcuna recriminazione per il mancato inserimento della figlia.

Un altro messaggio, poi, inviato sempre al pubblico funzionario dopo l’esito del concorso, con il quale la signora esprimeva la preoccupazione di aver offeso il proprio interlocutore, a fronte della mancata risposta alle comunicazioni precedenti.

La difesa ha poi sostenuto che il giudice di merito non ha “…dato conto correttamente dei presupposti per l’integrazione del reato contestato, non essendo sufficiente una possibilità astratta, occorrendo la praticabilità dell’influenza, essendo illogica la prospettazione di un margine di discrezionalità residua alla data dell’offerta del denaro, essendo frutto di travisamento l’assunto che non fosse rilevante la circostanza che la mancata collocazione in graduatoria della figlia della ricorrente fosse dipesa da fattori numerici e non da valutazioni discrezionali”. In buona sostanza, secondo la difesa, nel giudizio di merito non era stato provato che “…la ricorrente avesse inteso comprare un interessamento per influenzare la Commissione competente”: in questa prospettiva, la mera dazione di denaro sarebbe dunque irrilevante, in assenza della consapevole direzione della stessa verso l’illiceità del comportamento richiesto.

Il giudizio della Corte. I giudici di legittimità hanno condiviso il motivo di ricorso “…nella parte in cui segnala che la condotta non è idonea ad integrare il reato di istigazione alla corruzione per il quale è stata pronunciata la condanna della ricorrente”. A questo proposito, la Corte ha innanzitutto ricordato che la fattispecie punisce quelle condotte idonee ad alterare il fisiologico rapporto tra il privato e la pubblica amministrazione, in deroga all’articolo 115, Codice penale, secondo cui non è punibile, in termini generali, l’istigazione a commettere un delitto, “…se l’istigazione è stata accolta, ma il reato non è stato commesso” (l’istigatore, sempre a norma dell’art. 115, può essere sottoposto a misura di sicurezza qualora l’istigazione a commettere un delitto non sia stata accolta).

La fattispecie di corruzione, inoltre, ha sempre natura bilaterale, dal momento che implica la conclusione di un accordo illecito tra due soggetti, uno dei quali riveste la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio. In questa dinamica, l’offerta o la promessa, da qualunque parte provenga, deve essere concretamente orientata all’esercizio distorto delle funzioni o dei poteri da parte del pubblico ufficiale, all’omissione o al ritardo di un atto dell’ufficio o al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio.

Esaurita questa premessa, la cassazione si è chiesta se l’offerta del caso in esame (non accettata dal pubblico ufficiale, il quale ha immediatamente denunciato il fatto alle autorità) possa essere correlabile ad un atto contrario alle funzioni o almeno all’esercizio delle funzioni del pubblico funzionario.

Sul punto, la Corte ha preso atto di quanto accertato nella fase di merito: in primo luogo, il fatto che il pubblico ufficiale non aveva la competenza né la concreta possibilità di interferire con il concorso cui partecipava la figlia della ricorrente. A questo proposito, i giudici di legittimità hanno richiamato quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui  “…ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, non è determinante il fatto che l’atto d’ufficio o contrario ai doveri d’ufficio sia ricompreso nell’ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto” (Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 23355/2016; Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 20502/2010; Cass. pen., Sez. VI, sent. n. 17973/2019).

Nel caso di specie, come evidenziato dalla Corte, la capacità di influenza del pubblico funzionario “…non è stata in alcun modo dimostrata ed al contrario la difesa ha sottolineato come i criteri selettivi fossero sostanzialmente rigidi, residuando un margine valutativo del curriculum solo nel caso di parità di punteggio e di età anagrafica, situazione che è stata in astratto valorizzata dalla Corte ma, alla resa dei conti, in alcun modo concretamente rappresentata”.

L’ipotesi alternativa del traffico di influenze illecite. La cassazione ha escluso anche la compatibilità della condotta contestata con il delitto di traffico di influenze illecite, ex art. 346-bis, c.p. (nella formulazione vigente all’epoca dei fatti): anche questa fattispecie, infatti, prevede la necessaria intesa di due soggetti, uno dei quali si attiva per farsi dare o promettere denaro o un vantaggio patrimoniale (nell’attuale previsione, un’utilità) come prezzo della sua mediazione illecita e l’altro dà o promette il denaro o il vantaggio, nel quadro dell’accordo raggiunto.

In conclusione, la Corte ha stabilito che è mancata, nel caso di specie, proprio la necessaria dinamica bilaterale, in quanto la semplice offerta di denaro, da parte del privato, non ha innescato un rapporto illecito con il pubblico ufficiale, il quale si è immediatamente attivato per denunciare quanto accaduto.

Cass. Pen., Sez. VI, sent. n. 14014/2024 – Il principio
Il delitto di istigazione alla corruzione prevede il necessario rapporto bilaterale (privato/pubblico agente) e il coinvolgimento delle funzioni del soggetto qualificato: l’offerta o la promessa, infatti, devono essere correlati all’esercizio delle funzioni o dei poteri o all’omissione o al ritardo di un atto dell’ufficio o al compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio del pubblico ufficiale/incaricato di pubblico servizio.
Art. 322 c.p. (Istigazione alla corruzione) – Le condotte
 offrire o promettere denaro od altra utilità non dovuti ad un pubblico ufficiale/ incaricato di un pubblico servizio, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata;offrire o promettere per indurre un pubblico ufficiale/incaricato di un pubblico servizio ad omettere o a ritardare un atto del suo ufficio, ovvero a fare un atto contrario ai suoi doveri, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata;il pubblico ufficiale/incaricato di un pubblico servizio che sollecita una promessa o dazione di denaro o altra utilità, da parte di un privato, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri o per un atto contrario ai doveri d’ufficio.