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È su web? La truffa è aggravata 

Scatta la minorata difesa perché non c’è contatto personale 

I giudici di legittimità: si sfrutta la posizione di vantaggio schermando aspetti fondamentali 

La truffa online fa scattare l’aggravante della “minorata difesa” in quanto viene a mancare il contatto personale tra le due parti, per esempio tra l’acquirente (ingannato) che acquista un bene su internet e il venditore. In particolare, il truffatore, schermando in tutto o in parte attraverso il web una serie di elementi riguardanti la propria identità e l’esistenza stessa del bene posto in vendita, ricopre e sfrutta di fatto una posizione vantaggiosa rispetto al potenziale acquirente; quest’ultimo, in circostanze del genere, non è nelle condizioni di valutare alcuni aspetti fondamentali che riguardano la credibilità effettiva del venditore, nonché le caratteristiche e l’esistenza stessa dell’eventuale bene acquistato. In questi casi, quindi, il delitto in questione, previsto e disciplinato all’articolo 640 del Codice penale, risulta più grave proprio per il fatto di ”…aver approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa” (art. 61, n. 5, Codice penale).

È quanto ha stabilito la Cassazione, sesta sezione penale, con la sentenza n. 18585/2024 (motivazioni depositate in data 10/5/2024), che ha rigettato il ricorso presentato da un imputato che aveva subìto la condanna a un anno e quattro mesi di reclusione e una multa, nei precedenti gradi di giudizio, per aver commesso sette episodi di truffa, aggravati proprio ai sensi dell’articolo 61, n. 5, c.p.. Si trattava della vendita online, a più soggetti di giovane età, di scarpe da ginnastica per le quali erano state percepite le relative somme, ma che non erano mai state consegnate.

L’impostazione difensiva nel ricorso. L’imputato ha impugnato, avanti alla Suprema corte, la sentenza emessa dalla Corte d’appello, deducendo un unico motivo relativo alla (ritenuta) illegittima applicazione della circostanza aggravante in questione.

In estrema sintesi, come si legge nelle motivazioni del provvedimento di legittimità, la difesa del ricorrente ha sostenuto che la contestata aggravante non è integrata in tutti i casi di vendita online; nel ricorso, infatti, è stato evidenziato che “…l’imputato, pur inizialmente presentatosi online, proponendo la vendita di un paio di scarpe di cui era effettivamente in possesso, aveva comunque utilizzato la sua vera identità, utilizzando il proprio profilo Facebook e inviando agli acquirenti il proprio documento d’identità, numero di telefono e indirizzo di residenza”.

I giudici di legittimità hanno innanzitutto rimandato a quanto emerso invece nei giudizi di merito, in cui è stato accertato che il contatto originario tra l’imputato e i giovani acquirenti era avvenuto online; in merito alla prosecuzione dei rapporti e delle trattative, si legge sempre nelle motivazioni, queste erano proseguite “…talvolta anche mediante contatti telefonici, sempre però nel segno di una condotta dell’imputato ispirata a tranquillizzare l’acquirente, magari inviandogli una qualche foto oppure documentazione postale contraffatta, all’evidente fine di indurlo all’invio di denaro e/o beni in permuta, per poi rendersi inadempiente e irreperibile”.

Le condotte ingannatorie, dunque, hanno certamente indotto gli acquirenti ad acquistare quei beni, proprio perché rassicurati da una serie di elementi che in realtà non esistevano. La fattispecie di truffa, infatti, prevede che “chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 51 a euro 1.032” (art. 640, c.p.). Il trattamento sanzionatorio, inoltre, è inasprito proprio se ricorre l’aggravante della “minorata difesa” prevista all’articolo 61, n. 5, Codice penale.

La Suprema corte, proprio con la finalità di riconoscere la sussistenza della circostanza di cui sopra, ha valorizzato il fatto che “…in nessuno dei sette casi in esame vi era stato un incontro diretto tra l’imputato e l’acquirente, così che, per la distanza delle trattative e il mezzo a ciò utilizzato, permaneva quella posizione di maggior favore per il venditore che gli consentiva di schermare la propria identità”. Era infatti emerso nel corso dell’istruttoria dibattimentale che l’imputato si era talvolta presentato con false generalità o tramite soggetti terzi compiacenti, con l’unico scopo di evitare la visione diretta del bene in vendita (e, di conseguenza, anche la sua effettiva disponibilità) da parte dei potenziali acquirenti.

In buona sostanza, la compravendita che si perfeziona online richiede un particolare affidamento del contraente alla buona fede dell’altro, dal momento che le trattative si svolgono integralmente a distanza, senza che sia possibile verificare, con certezza, l’identità del venditore e la qualità del prodotto.

I precedenti giurisprudenziali. I giudici di legittimità, per rafforzare la propria impostazione, hanno richiamato una precedente pronuncia (Cass. pen. sent. n. 1085 del 14/10/2020), con cui la seconda sezione penale aveva ritenuto, sempre in tema di truffa contrattuale avvenuta attraverso internet, non sussistente l’aggravante della “minorata difesa”; si trattava, infatti, di un caso diverso da quello oggetto della sentenza n. 18585/2024, in cui “…il primo contatto tra venditore e acquirente era avvenuto su una piattaforma web per poi svilupparsi mediante messaggi telefonici e incontri di persona per la visione e cessione del bene, con consegna di assegno circolare poi risultato falso, atteso che, a differenza delle trattative svolte interamente online, in tal caso non ricorre la costante distanza tra venditore e acquirente idonea a porre quest’ultimo in una situazione di debolezza quanto alla verifica della qualità del prodotto e dell’identità del venditore”.

In questa situazione, dunque, accertato in ogni caso il delitto di truffa, l’aggravante della “minorata difesa” era però caduta in quanto mancavano proprio sia la posizione di vantaggio per l’autore delle condotte incriminate che, di conseguenza, una maggiore vulnerabilità della persona offesa.

In particolare, la sentenza del 2020 aveva precisato che nonostante quella trattativa fosse stata avviata dall’ostensione di un bene su una piattaforma telematica, è stato dirimente, al fine della non configurabilità dell’aggravante della “minorata difesa”, il fatto che le successive trattative siano proseguite attraverso contatti telefonici e incontri in presenza, tali da escludere la condizione di inferiorità dell’acquirente.