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Il rischio di usura nei contratti bancari, dalla commissione di massimo scoperto ai derivati

Avv.ti Francesco Isolabella e Enrico Maria Canzi (Le Fonti Legal, settembre 2018)

Con una recentissima pronuncia delle Sezioni Unite civili la Cassazione è tornata ad affrontare la fattispecie di usura di cui all’art. 644 c.p. e in particolare si è espressa sulla rilevanza della “commissione di massimo scoperto” ai fini del calcolo del “tasso soglia”, al superamento del quale si integra la cosiddetta usura “oggettiva o presunta”

(art. 644 I e III comma primo periodo). Grazie anche a un concetto che la giurisprudenza penale aveva già chiarito, le Sezioni Unite hanno stabilito che: “la commissione di massimo scoperto, … non può non rientrare tra le “commissioni” o “remunerazioni” del credito menzionate … dall’art. 644 c.p … attesa la sua dichiarata natura corrispettiva rispetto alla prestazione creditizia della banca” (Cassazione Civile SS.UU. sentenza numero 16303 del 20.6.2018).
L’affermazione è certamente di grande rilevanza perché richiama l’attenzione degli operatori bancari su una fattispecie, quella di usura di cui all’art. 644 c.p., la cui potenzialità applicativa deve necessariamente far riflettere e deve, soprattutto, portare a valutare interventi di natura organizzativa volti a gestirne e ridurne i relativi rischi. Monito importantissimo, al riguardo, è stato offerto dalla Cassazione Penale, secondo cui “Gli organi di vertice degli istituti di credito (nella specie, nella persona del presidente del consiglio di amministrazione), indipendentemente dalla suddivisione dei compiti all’interno dell’istituto, sono i garanti primari della corretta osservanza delle disposizioni di legge in tema di erogazione del credito…” con la conseguente possibile configurabilità “in caso di omissione di controllo, quantomeno [del] la corresponsabilità per le erogazioni a tasso usurario…” (Cass. Pen. Sez. II, 23.11.2011, n. 46669). Quanto appena detto appare ancor più vero e ancora più rilevante se si considera che l’art. 644 III comma, seconda parte c.p., ferma restando la configurabilità dell’usura ove i tassi di interesse applicati superino i limiti previsti dalla legge (c.d. usura oggettiva o presunta), prevede che “Sono altresì usurari gli interessi, anche se inferiori a tale limite, e gli altri vantaggi o compensi che, avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione, quando chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria” (c.d. usura soggettiva o in concreto). Questa disposizione normativa, cioè, rende penalmente rilevanti anche rapporti contrattuali in cui, nonostante vi sia il rispetto del tasso soglia previsto dalla legge, si verifichino le seguenti condizioni: a) il soggetto passivo versi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria; b) gli interessi pattuiti (pur se inferiori al tasso- soglia usurario ex lege) ed i vantaggi e i compensi risultino, avuto riguardo: bi) alle concrete modalità del fatto ed bii) al tasso medio praticato per operazioni similari comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità, ovvero all’opera di mediazione” (Cassazione penale sez. II, 20/09/2017, n. 45982). Appare quindi chiaro che, oltre alle tematiche afferenti la corretta modalità attraverso cui deve essere calcolato il tasso soglia, il Legislatore ha previsto una fattispecie – quella di “usura in concreto”- che si fonda sulla “sproporzione” (e quindi sul principio di equilibrio tra le prestazioni) e sui parametri necessari per effettuarne la relativa valutazione (ossia le “concrete modalità del fatto” e il “mercato di riferimento”). Ciò su cui, in questa sede, appare interessante richiamare l’attenzione, è proprio il concetto di sproporzione e la sua potenziale ampiezza e indeterminatezza. Sebbe- ne, infatti, come detto, la valutazione di squilibrio debba essere parametrata e desunta dalle concrete modalità del fatto e dal mercato di riferimento, questi ultimi spesso sono elementi non sufficientemente definiti e quindi tali da impedire all’interprete un giudizio di proporzione discrezionale e pericolosamente soggettivo. In contesti, ad esempio, in cui sia difficoltoso individuare un mercato di riferimento o ci si trovi in presenza di un range la cui ampiezza non consenta un giudizio certo di equilibrio – o di squilibrio – tra le prestazioni, il reato di usura potrebbe quindi rappresentare per l’Accusa una soluzione più agevole, se non addirittura immediata. E, ancorché debba passare il vaglio del Giudizio (che talvolta nega l’esi- stenza di una sproporzione – illecita – tra le prestazioni), la contestazione di usura è in grado di minare così tanto la reputazione di una persona da comprometterne in via definitiva il presente e il futuro, non solo professionale. A tal proposito, ci pare significativo riportare i casi Parmalat ed MPS. Nel primo, agli esponenti di un istituto di credito era stata contestata proprio la fattispecie di usura “soggettiva in concreto” per avere portato l’istituto di credito e la Parmalat alla stipulazione di alcuni contratti derivati che (in assenza di un mercato di riferimento e quindi nell’impossibilità di individuare parametri utili a effettuare un concreto giudizio di equilibrio tra le prestazioni) sono stati considerati dall’Accusa sproporzionati a svan- taggio della Parmalat. Ebbene, l’Accusa è stata mossa nelle Indagini Preliminari, ha superato il vaglio del 415 bis c.p.p. prima, dell’Udienza Preliminare poi e solo dopo più di dieci anni di processo è stata giudicata insussistente dal Tribunale di Parma. Il dato significativo è che nel motivare l’assoluzione i Giudici parmensi hanno proprio rilevato l’insussistenza della sproporzione. Anche riguardo al secondo caso, MPS, la Suprema Corte ha confermato la lettura del Tribunale del Riesame di Siena che in fase cautelare aveva escluso proprio la sussistenza di sproporzione rispetto – ancora – alla stipula di un contratto derivato tra la banca senese e una banca d’affari (Cass. Sez. II, 25 marzo 2014, n. 18778). Gli esempi appena offerti sono chiari testimoni della potenzialità applicativa dell’usura a rapporti contrattuali caratterizzati – come i derivati – da un sinallagma il cui equilibrio non sia di immediata percezione. La sproporzione dunque, sia essa dovuta al superamento dei tassi previsti dalla legge, o sia essa dovuta all’incoerenza con “il mercato di riferimento”, è ciò che caratterizza la fattispecie di usura e rappresenta quindi, il rischio “tipico” che può potenzialmente “annidarsi” in ogni contratto di natura sinallagma- tica. Contro questo rischio è dunque doveroso, in particolare per le realtà complesse quali sono le banche e gli istituti finanziari in genere, organizzarsi tramite procedure e protocolli che tendano a conformare i comportamenti contrattuali all’equilibrio delle prestazioni. In tale ottica, un utile risorsa potrebbe essere proprio il Modello Organizzativo di cui al D. Lgs. 231/01: nonostante infatti l’usura non sia un reato presupposto, nulla vieta di poter utilizzare il proprio Modello “231” quale strumento di prevenzione contro il rischio di commissione di reati quali l’usura, soprattutto se si considera che tale fattispecie insiste su di un’operatività necessariamente già regolamentata da protocolli e procedure.