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Protocolli anti-contagio idonei per non incorrere nel penale. I rischi e le regole per il datore di lavoro legati alla diffusione del Covid-19 in azienda

Avv. Nicola Pietrantoni (ItaliaOggi7, 06 aprile 2020)

Datori di lavoro al test della sicurezza in azienda per evitare il contagio da Covid-19. Nel caso di dipendente che ha contratto il virus (situazione equiparata a vero e proprio infortunio dal decreto legge c.d. “Cura Italia”), infatti, il datore rischia di rispondere, in sede penale, quando non ha adottato tutte le misure di contenimento dell’infezione da Covid-19, così come raccomandate dalle linee guida e dai protocolli condivisi da governo- imprese-sindacati.

La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, disciplinata dal d. lgs. 81/2008, comprende, nel contesto dell’attuale emergenza sanitaria, anche la valutazione e la gestione del rischio Covid-19, con tutte le relative conseguenze: in modo particolare, quelle che concernono la responsabilità penale del datore di lavoro e il potenziale coinvolgimento, ai sensi del d. lgs. 231/2001, della società nel cui ambito si è eventualmente verificato il contagio.

L’impresa pubblica e privata, più in generale, il mondo del lavoro, ha recentemente subìto, a causa dell’estensione del fenomeno epidemiologico, una serie di urgenti restrizioni che hanno condotto, da una parte, ad una sostanziale interruzione delle attività produttive industriali e commerciali del nostro Paese (Dpcm 22.3.2020, con eccezioni e successive modifiche) e, dall’altra, focalizzato l’attenzione proprio sulla fondamentale tutela della salute dei lavoratori con gli speculari doveri e responsabilità in capo al datore di lavoro, quest’ultimo inteso non solo come persona fisica, ma anche giuridica.

Sul punto, va ricordato il “Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro siglato, lo scorso 14 marzo, da Governo, imprese e sindacati dopo la pubblicazione del Dpcm 11/3/2020 con cui il Governo aveva previsto le prime misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale.

Nel documento del 14 marzo, preso atto che “la prosecuzione delle attività produttive può infatti avvenire solo in presenza di condizioni che assicurino alle persone che lavorano adeguati livelli di protezione”, le parti firmatarie hanno condiviso una serie di importanti linee guida per agevolare l’adozione, in particolare, nell’ambito delle realtà industriali e commerciali ancora operative, di veri e propri protocolli di sicurezza, definiti anti-contagio, le cui misure precauzionali si aggiungono a quelle in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro già disciplinate dal d. lgs. 81/08.

Nel Protocollo in esame, inoltre, sono state indicate le modalità di gestione di una persona sintomatica (che presenti, cioè, febbre e infezione respiratoria) all’interno dell’azienda, la cui procedura dovrebbe prevedere l’immediato coinvolgimento dell’ufficio del personale, l’isolamento in base alle disposizioni in vigore e l’urgente comunicazione alle autorità sanitarie competenti. È stato assegnato, infine, un ruolo fondamentale alla figura del medico competente, che collabora con il datore di lavoro e con il responsabile del servizio prevenzione e protezione (Rspp) nella gestione del rischio Covid-19 all’interno della sfera aziendale, e prevista la costituzione, all’interno di ogni azienda, di un comitato di crisi con funzioni operative e gestorie che prevede anche la partecipazione delle rappresentanze sindacali e del responsabile dei lavoratori per la sicurezza (rls)- incaricato di assicurare che ogni singolo protocollo adottato venga correttamente applicato e aggiornato.

Infezione da Covid-19 come infortunio. Non va poi dimenticato il decreto legge 17.3.2020, n. 18 (“Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19”) che ha considerato l’infezione da Covid-19, contratta “in occasione di lavoro”, come un vero e proprio infortunio (art. 42), con gli inevitabili effetti sulla responsabilità, soprattutto penale, del datore di lavoro, soggetto già chiamato dal nostro Ordinamento a valutare tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori (artt. 17, 18 e 55, d. lgs. 81/08) e in termini generali “…ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” (art. 2087, c.c.).

Il datore potrebbe quindi rispondere, in sede penale, del contagio-infortunio da Covid-19 del dipendente, ove venga accertato che l’infezione è insorta proprio a causa dell’omessa o dell’inadeguata adozione di quelle specifiche misure finalizzate a contenere il contagio da Covid-19 in ambito lavorativo.

Per queste ragioni, il datore di lavoro, con il contributo delle principali figure di riferimento (medico competente e Rspp), è oggi chiamato a valutare, con estrema attenzione, ogni profilo correlato al potenziale contagio da Covid-19 all’interno dell’azienda, con un occhio critico anche al documento di valutazione dei rischi di cui all’art. 29, d. lgs. 81/08.

Infatti, anche se l’epidemia rappresenta certamente un fattore estraneo e indiretto rispetto ai rischi tipici che coinvolgono le imprese (escluse quelle che presentano un -diretto- rischio biologico) tale da non imporre un obbligo di aggiornamento del “dvr” (art. 29, 2 comma, cit.), è comunque auspicabile una rivisitazione (appunto, critica) del documento in esame, alla luce del significato normativo assegnato alla stessa “valutazione dei rischi”, intesa quale “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza” (art. 2, comma 1, lett. q, d. lgs. 81/08).

La giurisprudenza penale ha sottolineato sia il carattere dinamico del “dvr”, definito “…uno strumento duttile, suscettibile di essere in ogni momento aggiornato per essere costantemente al passo con le esigenze di prevenzione che si ricavano dalla pratica giornaliera dell’attività lavorativa” (Cass. Pen. n. 39283/2018), sia il “…concetto dinamico del rischio, che impone l’adeguamento degli strumenti di protezione e l’aggiornamento della formazione ed informazione del lavoratore, ogni qual volta intervenga un rischio nuovo rispetto a quello originariamente previsto” (Cass. Pen. n. 4706/2017).

In definitiva, una rilettura critica del dvr, nonché l’adozione delle misure di contenimento previste dal Protocollo 14.3.2020 con il necessario contributo -in termini di controllo e di aggiornamento- anche del comitato interno di cui si è accennato, rappresentano, oggi, i migliori strumenti per la concreta tutela della salute e sicurezza dei lavoratori.

La responsabilità ex 231: sanzioni salate e sospensione dell’attività

La dimensione della responsabilità penale del datore di lavoro, correlata al rischio da contagio Covid-19, ha un inevitabile riflesso anche sul piano della c.d. responsabilità amministrativa delle persone giuridiche per i reati commessi, nel loro interesse o a loro vantaggio, da coloro che rivestono posizioni apicali (presidenti, amministratori, direttori generali) o da soggetti sottoposti alla direzione o vigilanza di questi (art. 5, d. lgs. 231/2001).

L’art. 25-septies, in particolare, prevede il coinvolgimento della società in caso di omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse proprio con violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro, con la conseguente comminazione di sanzioni pecuniarie e, soprattutto, interdittive (tra le quali, l’interdizione dall’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione) con tutte le intuibili e gravi conseguenze economiche e reputazionali che ne possono derivare.

Sul tema salute e sicurezza sul lavoro, la giurisprudenza penale ha segnalato -più volte- la matrice da cui origina la responsabilità 231: in estrema sintesi, ad essere punita è la politica aziendale connotata dalla violazione delle norme sulla sicurezza e finalizzata ad un risparmio di spesa o all’ottenimento di benefici quali, ad esempio, l’incremento o la velocizzazione della produttività. 

Per queste ragioni, assumono un ruolo fondamentale, proprio per scongiurare il rimprovero a titolo di colpa d’organizzazione, il modello 231 e l’organismo di vigilanza (odv), quest’ultimo con il delicato compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello, nonché di curarne l’aggiornamento.

L’emergenza Covid-19, dunque, rappresenta anche l’occasione, per le imprese, di rivalutare la tenuta del proprio modello alla luce dei nuovi rischi di contagio (una sorta di stress test), tenendo presente l’art. 30, d. lgs. 81/08, secondo cui il modello 231 “…deve essere adottato ed efficacemente attuato, assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi” anche “…alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti”.

L’emergenza Covid-19, dunque, non comporta automaticamente l’esigenza di aggiornare il modello, ma è destinata a impegnare, con maggiore intensità, l’odv in una serie eterogenea di importanti attività anche in materia di salute e sicurezza: a titolo esemplificativo, si ricordano la vigilanza circa l’adozione e il rispetto dei protocolli preventivi, l’intensificazione dei flussi informativi anche e soprattutto con il comitato di crisi previsto dal Protocollo 14/3/2020, la comunicazione all’azienda di nuovi provvedimenti emergenziali (decreti legge, dpcm, ordinanze dei ministeri), nonché l’eventuale implementazione del Dvr, la cui valutazione e decisione spettano, come si è visto, al datore di lavoro.